L’avevo incontrato la prima volta, don Matteo Zuppi, a Roma in compagnia di Mario Raffaelli, già Sottosegretario agli Affari Esteri. Con lui e attraverso l’apporto di Sant’Egidio, avevano mediato la pace in Mozambico, mettendo fine ad una terribile guerra civile. Fu un colloquio spontaneo, amicale, svoltosi su una panchina davanti alla sede della Comunità.
Mi sembrò subito inserirsi in quel filone della presenza cattolica semplice e popolare, vicina, per estrazione e carisma, a quella che proprio a Roma incarnò San Filippo Neri.
L’ho rivisto molti anni dopo a Bologna: dove ci siamo incrociati in più di un’occasione, in virtù del mio insegnare, in quell’Ateneo, diritto canonico. Occasioni ufficiali – inaugurazioni di anni giudiziari, piuttosto che eventi sociali o culturali nei quali era chiamato ad intervenire come Pastore della città – in margine alle quali si trovava sempre lo spazio per un saluto ed un rapido scambio di idee.
Bologna ha sempre rappresentato, dal punto di vista ecclesiastico, uno snodo importante: città del cardinale legato, è considerata una sede episcopale tra le più strategiche in Italia, tanto da vestire tradizionalmente, il suo Arcivescovo, il colore della porpora cardinalizia.
La sua sintonia col pontefice regnante è evidente: tuttavia anche se la sua visione e la sua azione si collocano sul piano di una carità militante, sensibile ad una Chiesa bergoglianamente in uscita, è uomo capace di riflessioni magisteriali di un certo spessore. Papa Francesco lo ha imposto, secondo il suo decisionismo cui non è estranea una cifra di provenienza peronista, in un’assemblea della CEI percorsa da divisioni non banali e da insofferenze evidenti rispetto alla linea dell’attuale pontificato. Compito dunque non semplicissimo, quello affidato ad un porporato che qualcuno indica come potenziale successore del papa regnante: e che, forse, potrebbe nuocergli proprio in questa prospettiva. La Presidenza della CEI, infatti, comporterà non solo la necessità di corroborare una linea pastorale che interpreta la Chiesa, secondo la non felice definizione di papa Francesco, come un ospedale da campo: ma, ben oltre, l’urgenza di elaborare una sintesi culturale, teologica, ecclesiologica di forte profilo che non sappiamo dire, ad oggi, se sia alla portata di un uomo qualificatosi sino a qui più per l’azione pastorale e caritativa che non per l’originalità del pensiero e del magistero.
Certamente, invece, possiamo dire che Matteo Zuppi è guida religiosa apprezzata e stimata nel contesto cittadino e territoriale bolognese: nel governo del quale ha mostrato e mostra doti di equilibrio e misura. Egli ha già cominciato ad inserirsi, per questo aspetto, nel solco di una tradizione importante che fu quella di Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV, eletto papa, con sua stessa grande sorpresa, nel 1740.
L’affetto dei bolognesi per Cardinal Lambertini fu enorme, fino a farne una figura popolare e mitica cui furono dedicati lavori teatrali ridotti anche in rappresentazioni televisive memorabili interpretate magistralmente da un altro grande bolognese: l’indimenticato e indimenticabile Gino Cervi.
Non so se il citato precedente di Prospero Lambertini possa costituire una sorta di viatico o di augurio: certo sarebbe coincidenza del tutto singolare quella di incontrare nuovamente, tra qualche anno, a Roma, don Matteo Zuppi non più su di una panchina davanti a Sant’Egidio, ma su ben altro soglio.
Andrea Zanotti è docente di diritto canonico all’Università di Bologna
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