Più conosciuta come “il fungo di Daone” – alla parte basale del tronco era stato mezzo un tettuccio tanto da farla sembrare un fungo (una brisa supergigante) -, la “Bora de Boaz”, continua la sua lenta agonia. Ha resistito per 700 anni nella sua aree boschiva naturale, nei pressi dell'ex malga Boazzo in val Daone. L’“avaz” (in dialetto l’abete bianco, Abies Alba), è nato all'epoca delle Crociate. Più che agli eserciti, che non sono mancati, ai re e agli imperatori, si era abituato alla gente semplice e povera, ai pastori, ai boscaioli, alle greggi ed agli animali selvatici che confortava contro pioggia, neve e sole con la sua chioma regale. Chi osava spingersi fino a Malga Boazzo era un temerario che poi, dopo una sosta con il bestiame fino ad esaurimento del foraggio, poteva proseguire per malga Bissina e per i pascoli della Val del Leno e della Val di Fumo, incontrando un paesaggio selvaggio, abitato da orsi, camosci, caprioli, marmotte e aquile. Il legname era prezioso soprattutto all'epoca delle guerre fra i regnati europei per il consolidamento del Sacro Romano Impero, le lotte fratricide fra potenti, le guerre di conquista e lo sviluppo di città e paesi. Dalla val Daone i tronchi (bore) venivano trasportati nel Basso Chiese utilizzando l'acqua del torrente come forza di trascinamento, erigendo piccole dighe per la spinta.
Per secoli l'abete di Boaz, nonostante tutti gli avvicendamenti storici, era rimasto al suo posto, padrone indiscusso. Neppure due guerre mondiali, con migliaia di soldati dispiegati sul fronte dell'Adamello hanno osato profanare quest'albero sacro, un totem, nelle credenze popolari dei locali. Nessuno ha mai osato toccarlo. Negli anni Cinquanta del 1900, le grandi imprese hanno dato il via alle opere idrauliche per la realizzazione di dighe e centrali, recitando da quel momento il “De Profundis” per la straordinaria conifera. L'albero fu tagliato, nel novembre 1955, a mano con il ”segone”, sotto il controllo dell'assessore alle foreste dell'epoca, Fioravante Pellizzari. Scortato dalla gente di Daone, come un eroe, con i “broz” trainati da buoi, fu trasportato, a pezzi, in paese lungo la nuova strada costruita per le centrali.
Nel 1986 il “fungo” è stato sottoposto ad un intervento conservativo. Ora si sta degradando corroso da tarme, muschi ed umidità. Intorno alla piccola barriera metallica, sul piazzale ricavato a valle del paese, quale piattaforma espositiva, il sindaco Ugo Pellizzari ha invitato molti esperti nel tentativo di bloccare il processo di disfacimento, senza trovare per adesso conforto e lumi sul da fare. Il “fungo” si sta deteriorando proprio come i funghi.
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