Anche dentro la sua Facoltà, che tanto gli deve, il decano dei sociologi trentini don Franco Demarchi non è più molto conosciuto. Grazie alle voci di alcuni suoi discepoli in quella storica aula 1 di via Verdi, la sua poliedrica figura è stata però valorizzata a 101 anni dalla nascita questa mattina nel convegno della Fondazione Franco Demarchi che vorrebbe rilanciarne le intuizioni profetiche. Le hanno richiamate, con significativi aneddoti personali, i vari relatori introdotti da Alberto Faustini: uno dei suoi ultimi alunni, Luca Fazzi, ha ricordato la concezione demarchiana di una sociologia “utile, in grado di servire e cambiare il mondo” e la sua apertura internazionale; i colleghi Renzo Gubert e Antonio Scaglia l’originalità della sua visione personalista, spesso controcorrente rispetto al pensiero positivo nordamericano, e la dimensione popolare dello studio sociologico, “attento alle relazioni fra le persone e i popoli anche nelle aree di confine”; il successore Riccardo Scartezzini, che ebbe Demarchi come insegnante nella sua prima lezione del 1964, ha spiegato come nacque anche il grande interesse per la Cina e per gli studi sulla modernizzazione nel continente asiatico, fino ai viaggi alla “scoperta” di Martino Martini, lo scienziato missionario ora riconosciuto grazie all’attività dell’omonimo Centro Studi. La dimensione socio-politica e anche pedagogica di Demarchi trova ancora la sua eredità nella Scuola di Preparazione Sociale, da qualche anno in un’apertura rinnovata al dialogo con il territorio, come ha spiegato Daniela Ranzi, mentre il prorettore Maurizio Marchese ha riferito della proposta di intitolare un’aula a Franco Demarchi. Lo studioso soprattutto un sacerdote, come ha evidenziato nella sua puntuale relazione mons. Luigi Bressan, testimoniando la sua fede rocciosa, la sua tenacia “fiemmazza” e il desiderio spirituale tutto mariano (“Janua Coeli” si chiama il movimento di preghiera da lui fondato) di aprire efficaci vie alla spiritualità.
“Voleva fare il bene e farlo bene”, ha detto Bressan citando varie iniziative concrete di Demarchi e la finalizzazione pastorale dei suoi studi sociologici: “per lui non bastava conoscere il pensiero ecclesiale sulla giustizia sociale ma occorreva trovare, accanto ai principi, vie più scientifiche per un adeguato sviluppo sia delle città che delle campagne, senza pretesa di avere soluzioni infallibili o irriformabili”. Un prete aperto al mondo intero, vicino ai fratelli cinesi e desideroso di vedere annunciato liberamente il Vangelo, sempre fiducioso nel futuro. “Appariva austero ma possedeva un carattere appassionato e affettuoso – ha concluso Bressan – venuto da una valle turistica don Demarchi non ha aperto piste di discesa, ma tracciati, sentieri e strade si cui avanzare in corresponsabilità.
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