La standing ovation dei parlamentari italiani al discorso pacato e severo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha fortunatamente cancellato l’ignominia di quel gruppetto di
politici dissidenti che si è perfino rifiutato di ascoltarlo. Non è così che si prepara il terreno per una difficile e ancora lontana pace. Tutte le parti in guerra, soprattutto quella aggredita, devono potere esporre le proprie ragioni.
Poi si potrà magari dissentire, anche se sembra impossibile non schierarsi oggi apertamente per una democrazia, quella ucraina, sotto l’attacco del dittatore russo. Va invece ammirata la strategia comunicativa di Zelensky che, di fronte alla evidente inferiorità militare del suo Paese, adotta un metodo di dialogo ragionato e razionale con i parlamenti democratici del mondo. È la sua guerra ibrida, che oppone ad un’aggressione militare di tipo tradizionale, fatta di carrarmati e bombardamenti, una strategia di convincimento e di richiesta di sostegno delle opinioni pubbliche dei nostri Paesi.
Nel suo breve ma efficacissimo discorso il presidente ucraino ha messo in chiaro un concetto che dovrebbe allarmare noi europei occidentali: l’Ucraina rappresenta per lo “zar” di Russia, Vladimir Putin, il “cancello” di ingresso al resto dell’Europa per influenzarne la politica e l’economia. Quindi è di vitale importanza per l’Unione europea sostenere a spada tratta la resistenza del popolo ucraino e al tempo stesso cercare le vie per arrivare ad un cessate il fuoco e, da ultimo, ad una pace che preservi sto punto di vista dobbiamo ammettere che nessuno dei leader dell’UE, da Emmanuel Macron a Olaf Scholz, ha avuto né la forza né la credibilità per evitare l’inizio di questo pericolosissimo conflitto. Eppure è l’UE che è sotto attacco e nessuna pace potrà essere duratura se l’Unione non siederà prima o poi al tavolo degli eventuali negoziati. Nel frattempo si stanno muovendo altri attori per proporsi come mediatori, ma fino ad oggi con scarsissimi risultati, anche perché per essere mediatori occorrono caratteristiche di forza, credibilità e una certa terzietà rispetto alle parti in guerra. In queste settimane abbiamo assistito ad almeno due tentativi piuttosto inaspettati. Il primo è stato quello del premier israeliano Naftali Bennett e il secondo quello del presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Per ora nessuno dei due è riuscito a smuovere Putin dalla sua posizione intransigente. La debolezza di Bennett, la cui decisione di proporsi come mediatore è stata una vera sorpresa, è evidente se si prende in considerazione il suo peso politico internazionale (scarso) ed il fatto che Israele ha bisogno più della Russia che dell’Ucraina. In effetti uno degli obiettivi degli israeliani è quello di mantenere buoni rapporti con Mosca nel tenere sotto controllo il governo siriano di Bashar al-Assad, mantenuto al potere dall’intervento militare dei russi. Allo stesso tempo Israele cerca di convincere Putin a non riaprire il negoziato sul nucleare con l’Iran (sempre osteggiato da Gerusalemme), nel momento stesso in cui l’amministrazione americana di Joe Biden sembra pronta a riavviare il negoziato con Teheran, dopo la rottura del vecchio accordo da parte di Donald Trump. Insomma troppi interessi nei confronti di Mosca per giocare un ruolo credibile. Credibilità che manca anche all’altro potenziale mediatore, la Turchia. Basti qui ricordare che la Turchia fa parte della Nato, contro cui si è scagliato il leader del Cremlino per giustificare la guerra contro Kiev. È vero che Erdogan nel suo protagonismo levantino si è posto clamorosamente in contrapposizione con gli alleati atlantici acquistando sistemi antimissile da Mosca. Ma va anche ricordato che Erdogan ha combattuto sul fronte opposto di Putin in Siria, ricacciando l’esercito di Damasco dal nord del Paese; in Libia mandando i suoi militari in sostegno di Tripoli ad ovest, contro le milizie dei russi che proteggono Bengasi ad est; ed infine nel Nagorno Karabakh per sostenere le ragioni dell’Azerbaijan contro i russi alleati dell’Armenia. Insomma troppe ambiguità e conflitti per credere che Mosca possa accettare l’offerta di Erdogan.
Con questi poco credibili attori, Putin sembra intenzionato essenzialmente a guadagnare tempo, anche perché l’operazione militare in Ucraina non sta andando per il verso giusto. Più interessante sarebbe assistere ad un’eventuale entrata di Pechino nei giochi diplomatici. Ma è problematico per la Cina non continuare a sostenere fortemente l’amico Putin, anche in funzione antiamericana. Non bisogna infatti dimenticare le pretese territoriali cinesi su Taiwan, fino ad oggi protetta militarmente da Washington. Insomma cercasi mediatore forte e credibile. Alla fine, all’eventuale tavolo dei negoziati dovranno esserci più partecipanti. È quindi necessario che i governi Usa ed europei valutino con attenzione come far valere la propria influenza nelle future trattative. Non ci sono garanzie contro un imbarbarimento della guerra, ma di certo non esistono prospettive di una pace duratura, che salvaguardi l’indipendenza e la sicurezza dell’Ucraina e stabilizzi l’antagonismo con la Russia, senza un maggiore coinvolgimento di americani ed europei.
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