Mario, amico mio

I ricordi di don Giorgio Bolognani che da ragazzo aveva trascorso con lui le vacanze estive: “Mi diceva avrebbe scelto la vita missionaria tra gli Esquimesi, povera gente emarginata in attesa di sentire l’annuncio della parola di Gesù….”

La mia testimonianza del beato Mario Borzaga non può essere paragonata quella dei suoi condiscepoli nel Seminario di Trento che hanno vissuto insieme nove anni; per lui ero solo l’amico delle vacanze.

Infatti l’ho conosciuto nelle vacanze pasquali del 1949 quando venne a trovarmi nell’appartamento della mia famiglia in Via Belenzani. E’ stato un incontro molto importante, perché avevo frequentato la scuola media presso il Collegio Arcivescovile ed ero entrato nel Seminario Minore in quarta ginnasio. A quell’epoca non seguivo una vita parrocchiale, ma andavo nella chiesa di San Francesco Saverio e partecipavo a momenti di ricreazione lì accanto, nelle sale dell’associazione studentesca “Juventus” che aveva come assistente ecclesiastico don Tullio Endrizzi: proprio attraverso i suoi incontri mi aveva fatto comprendere il valore della vocazione sacerdotale. Mario era ormai nel primo anno del liceo classico ospitato nel Seminario Maggiore e indossava la veste talare.

Quando si è presentato, confesso che ho trovato subito in lui un grande aiuto, perché nelle vacanze i superiori ci affidavano un questionario da consegnare al parroco per la valutazione del nostro comportamento nei periodi che trascorrevamo in famiglia e personalmente non sapevo a chi rivolgermi. Con il suo esuberante slancio ha vinto la mia timidezza e mi ha presentato all’arciprete del Duomo mons. Modesto Revolti.

Così mi ha introdotto nella vita liturgica della Cattedrale, perché molti erano i sacerdoti, oltre ai canonici, che celebravano la S. Messa su tutti gli altari laterali dalle 6 del mattino fino alle ore 9, per cui era necessaria la nostra presenza a un loro servizio: come minimo partecipavamo a due celebrazioni eucaristiche.

Poi mi ha insegnato a fermarmi in chiesa per qualche minuto di meditazione: in Seminario era un fatto ordinario, perché veniva dettata dal Padre Spirituale, ma nelle vacanze, come novellino, ignoravo questa devozione. Mario mi ha dato un libriccino e mi ha guidato a leggerlo con delle pause di riflessione.

Ci trovavamo anche nel pomeriggio, perché nella mia abitazione c’era un pianoforte a mezza coda con vari spartiti di autori classici, lasciati da mio fratello e a lui piaceva moltissimo suonare martellando con le sue grandi mani sulla tastiera per diffondere piacevoli melodie: riusciva a leggere le note a prima vista da esperto autodidatta.

È quanto avveniva pure nei due mesi delle vacanze estive intervallate dal soggiorno nelle ville del Seminario Minore a Tiarno di Sotto e a Castel La Santa per il Seminario Maggiore. Quindi attendavamo con ansia le settimane in cui potevamo incontrarci anche con gli altri seminaristi della città per collaborare negli oratori, il più attivo era il grest nella parrocchia di Cristo Re, ma l’avvenimento più importante era il pellegrinaggio a piedi per salire fino al santuario della Madonna a Montagnaga di Piné con la recita del rosario meditato dai più anziani, tra cui Mario.

Erano le vacanze estive che ci offrivano il maggior tempo per trascorrere ogni giorno lunghe ore insieme. Oltre che per il servizio alle S. Messe, anche per momenti in cui ci scambiavamo le visite tra Via Gorizia, dove lui abitava, e via Belenzani non solo per le suonate al pianoforte, ma per qualche partita a scacchi, a dama e a tria.

Quando nel 1950 ero stato promosso alla prima classe del liceo classico nel Seminario Maggiore avevo indossato la veste talare e nelle vacanze successive lungo le strade, camminando tra la gente, tutti ci salutavano come se fossimo due sacerdoti.

Nella parrocchia del Duomo con quel nuovo abito svolgevamo vari servizi liturgici. La domenica i canonici celebravano la S. Messa solenne alla quale Mario partecipava indossando, oltre al camice, la dalmatica per svolgere la funzione di suddiacono, mentre a me era affidato l’incarico di cerimoniere e organizzavo le mansioni dei chierichetti nel portare turibolo e candelieri. Inoltre l’arciprete mons. Modesto Revolti ci chiamava quando venivano celebrati i funerali al cimitero, perché si usava la presenza del celebrante con il piviale sorretto da altri due sacerdoti e a noi bastava indossare la cotta e partecipare ai canti in lingua latina che accompagnavano la cerimonia funebre.

Gli unici momenti in cui non riuscivo a seguire Mario erano quelli in cui lui faceva enormi sgroppate in bicicletta per visitare i suoi condiscepoli nella zona del Primiero, nelle valli di Fiemme, Fassa e val di Non.

Nelle conversazioni con Mario si parlava di aspetti della vita spirituale, come quella diffusa in città dai focolarini di Chiara Lubich e andavamo a trovarli in una casa abitata dalla sezione maschile vicino al ponte San Giorgio nel rione occidentale del fiume Adige.

Tuttavia non ci convinceva, anche perché i nostri superiori erano contrari, per cui avevo confidato all’amico l’esperienza che avevo sentito raccontare da don Roberto Angelini, Padre Spirituale del Collegio Arcivescovile, quando come trappista aveva vissuto in un convento di clausura. Questo mi aveva impressionato, quindi, se fossi diventato sacerdote, avrei preferito scegliere la vita contemplativa tra i Camaldolesi. Invece Mario quando frequentava il primo anno di Teologia, mi diceva che lui avrebbe scelto la vita missionaria tra gli Esquimesi, povera gente emarginata in attesa di sentire l’annuncio della parola di Gesù, per cui sarebbe entrato nella Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata che aveva dei religiosi in Alaska.

La rivelazione non mi ha fatto piacere, perché la decisione era imminente, d’altra parte anche il mio orientamento mi avrebbe portato un giorno a staccarmi dal carissimo amico e la nostra unione sarebbe stata solo spirituale seguendo diverse vocazioni secondo la volontà di Dio. Mario mi aveva assicurato che proprio questa stava realizzando: era stato in colloquio con il rettore mons. Guido Bortolameotti e nella sua capacità introspettiva gli aveva dichiarato di essere fermamente convinto che lui sarebbe stato un ottimo missionario.

Don Giorgio Bolognani

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