Oxford, 1932, novant’anni fa. Gli studenti neolaureati celebrano sul prato, tra bottiglie baci e fuochi artificiali. C’è un tedesco, Paul, fiero della nuova Germania allo stato nascente. C’è un inglese, Hugh, che vede l’alba di un mondo nuovo. Sono giovani, sono fiduciosi, sono amici. Finché il nazismo non li divide. Paul ci crede, Hugh ne è inorridito.
Dopo un silenzio di sei anni, le cose sono cambiate. Hugh, come traduttore dal tedesco nonché brillante collaboratore di Downing Street, viene inviato alla Conferenza di pace di Monaco (settembre 1938) al seguito del primo ministro Chamberlain (un solenne, esangue Jeremy Irons). E lì, dall’altra parte, come traduttore dall’inglese, c’è Paul, che ha cambiato idea sul dittatore e vuole consegnare al “nemico” i piani di Hitler per la sottomissione dell’Europa, affinché Gran Bretagna e Francia non si fidino dell’uomo con i baffi.
Tu vedi Monaco – Sull’orlo della guerra mentre l’Europa è di nuovo, oggi, sull’orlo di un’altra guerra, ed è inevitabile che i Sudeti tedeschi, rivendicati da Hitler come pretesto per l’aggressione alla Cecoslovacchia, primo atto della nuova guerra mondiale, ci ricordino il Donbass, l’Ucraina, le minacce e l’espansionismo di Putin, l’incertezza dell’Europa democratica.
Il film, solido prodotto di genere firmato da Christian Schwochow (123’, su Netflix), è tratto da un romanzo (di Robert Harris) con trama improbabile ma non assurda, schiera uno Hitler (Ulrich Matthes) che non assomiglia troppo all’originale eppure inquieta, con quegli occhi malati “che sanno leggere le persone”, incluso quel giovanotto che ha studiato a Oxford e che vorrebbe ucciderlo ma poi non ce la fa.
“Monaco” ci rilancia però un bel po’ di interrogativi che tornano drammaticamente attuali, qui e ora: la diplomazia serve a qualcosa o è comunque destinata a soccombere davanti al superiore convincimento indotto dalle armi? si può scendere a patti con gli statisti criminali? è ancora vero che “se vuoi la pace, prepara la guerra”?
I titoli di coda del film ci ricordano che l’arrendevolezza di Chamberlain a Monaco ha consentito all’Inghilterra, alla Francia e poi agli Stati Uniti di preparare la guerra “necessaria” contro la Germania. La morale sarebbe dunque che la guerra, alla fine, resta uno strumento imprescindibile nella cassetta degli attrezzi della politica internazionale. Contro gli Hitler di ieri e di oggi. Per i nonviolenti pacifisti, è duro ammetterlo.
Intanto, nel film, si può fare il tifo per quei due ragazzi, l’inglese e il tedesco, che a Monaco cercano invano di avvertire i Grandi dell’Europa, a rischio della vita. Jannis Niewöhner (Paul von Hartmann) e George MacKay (Hugh Legat) hanno due facce pulite, giuste per incarnare l’idealismo della gioventù. MacKay, classe 1992, che molto correva come soldatino allo sbaraglio nelle trincee del bel 1917 di Mendes, corre anche qui, a Londra e a Monaco. Con due occhi chiari, ambiziosi e spaventati, che rivedremo spesso sullo schermo.
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