L'appello al dono di sé nelle parole del responsabile della Pastorale della Salute, don Piero Rattin
Non possono esserci pregiudizi, malintesi o diffidenze: “Il dono dei propri organi permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte, perché vinca sempre la vita”. Queste nette parole di Benedetto XVI nel 2008 sintetizzano la posizione della Chiesa che incoraggia e raccomanda la donazione di organi. L’ ha motivata il responsabile della Pastorale della Salute, il biblista don Piero Rattin, quando la diocesi ha collaborato con l’Azienda sanitaria nelle giornate di maggio per sensibilizzare sulla cultura della donazione. Dopo aver ricordato che più di 50 anni fa Pio XII aveva elogiato la decisione di don Gnocchi di donare alla sua morte le cornee a due dei suoi piccoli orfani mutilati, don Piero ha ripreso la motivazione di Papa Ratzinger (“la donazione d’organi è una forma peculiare di testimonianza della carità”) per entrare, in un periodo segnato dall’egoismo individualista, dentro la logica della gratuità, dell’agàpe: “E’ l’amore che porta ad agire per il bene della persona cui ci si rivolge, a prescindere da qualsiasi riconoscimento o ricompensa, per l’unico motivo che quella persona ha bisogno di essere amata”.
Diceva Benedetto XVI ad un congresso internazionale: “Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destinatario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità”.
Se la donazione si presenta come “scelta squisitamente cristiana”, anche a fronte dell’insufficiente disponibilità di organi che comporta lunghe liste d’attesa da sé, la Chiesa mette in guardia da possibile abusi (come i traffici di organi) – in virtù di un’antropologia che considera la preziosità di ogni persona – affermando “eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l’adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti”. Rispetto alle condizioni etiche da salvaguardare – nella donazione di organi da vivente – “si afferma la liceità del dono a condizione che non esista alcun serio pericolo per la salute e l’identità del donatore, e che il dono avvenga per un motivo moralmente valido e proporzionato”.
Nel caso di dono da corpo morto a corpo vivente in attesa di trapianto, “la condizione previa è il consenso informato da parte del donatore e/o dei suoi familiari (qualora il donatore non abbia avuto modo di manifestarlo): è una condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia davvero la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento”.
Rimane infine il tema dei criteri di accertamento della morte, ora anche di tipo neurologico oltreche cardiorespiratorio: “Non è compito della Chiesa – ebbe a dire Giovanni Paolo II – ma della scienza determinare criteri affidabili per l’accertamento della morte in generale e della morte cerebrale in particolare. La Chiesa, verificata la sintonia di questi criteri con i principi di una sana antropologia, ritene che tale consenso fra scienziati di buona coscienza offra la necessaria certezza morale per il prelievo”.
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