Per collocare nella giusta dimensione storica l’assassinio del vescovo salvadoregno Oscar Romero, 35 anni fa (24 marzo 1980), occorre mettere in luce l’emergere in quegli anni di un nuovo soggetto sociale in Salvador, costituito dalle maggioranze oppresse che forse per la prima volta cominciano a prendere coscienza della propria situazione di sfruttamento che provoca la loro povertà. I movimenti popolari alzano la testa e dicono basta a situazioni di più o meno velate dittature o false democrazie. E c’è da rilevare, in questo contesto sociale, la presenza attiva e partecipe dei cristiani. Tutto ciò implica la riflessione e la pratica di un nuovo modo della presenza stessa del cristianesimo con il passaggio, graduale e però inarrestabile, da un regime di cristianità a presenze profetiche di figure di credenti esemplari perché conseguenti nel loro agire.
Naturalmente questo cammino, individuale e comunitario, parte da lontano, almeno dall’assise dell’episcopato latinoamericano di Medellìn (1968) dove si pongono le basi di quelle che si rivelano essere tre scelte fondamentali: per gli impoveriti; per la liberazione integrale, non solo economica quindi, ma umana e delle coscienze; e per le comunità di base. L’amore cristiano si concreta in una visione di impegno per la giustizia e per la pace in una realtà che a chiare lettere viene definita come “rifiuto del Dio della vita” e come “una situazione di peccato, una situazione di ingiustizia che può essere chiamata di violenza istituzionalizzata .
I nuclei portanti della pastorale di Medellìn trovano istanza, ribadita e rimarcata, anche a Puebla (1979) dove i vescovi riconoscono che la maggior parte dei loro fratelli vivono e sopravvivono in condizioni di estrema miseria, mentre la ricchezza si sta accumulando in modo spregiudicato nelle mani avide di una esigua minoranza vorace e potente. Processo di impoverimento che viene giudicato scandaloso e profondamente antievangelico. E’ la prima volta che la chiesa latinoamericana parla apertis verbis in questi termini. Si incrina inesorabilmente l’alleanza trono-altare che dai tempi della Conquista del 1500 aveva soggiogato l’annuncio spirituale ai fini politici ed economici dominanti dei colonizzatori e si apre una nuova stagione – inedita – segnata dal martirio. Si auspica una conversione che implica che “tutta la chiesa deve rivedere le proprie strutture e la vita dei suoi membri”.
E’ alla luce di questo retroterra di radicamento culturale e di evoluzione ecclesiale che si comprende come emblematica e assai significativa la figura e la testimonianza del vescovo Oscar Romero in Salvador e in tutta l’America Latina.
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