Il saluto di Guido: si è spento a 98 anni l’alpino Vettorazzo, uno degli ultimi sopravvissuti alla battaglia di Nikolajewka

L’alpino Guido Vettorazzo alla campana della Pace durate l’Adunata 2018 – foto Gianni Zotta

“Vogliamoci bene e ricordiamo sempre che solo la memoria ci può salvare dagli errori e dalle guerre, mentre la vita continuerà nel tempo, anche senza di noi”. Lo ricordava, Guido Vettorazzo, durante una delle celebrazioni dell’anniversario della battaglia di Nikolajewka, tragico epilogo della sciagurata spedizione italiana in Russia. Un messaggio di pace e amicizia, un monito, una sorta testamento spirituale venuto da chi, quell’ultima battaglia, combattuta allo spasimo per sfondare l’ultimo ostacolo frapposto dall’Armata Rossa e ritrovare la via di casa, dopo la fallita occupazione di Staligrado, l’aveva vissuta in prima persona da sottotenenente del Battaglione Tolmezzo.

Martedì 11 giugno, il forte cuore di Guido ha messo di battere. Da qualche mese, accudito affettuosamente dei tre figli Paolo, Giovanni e Chiara e dei suoi nipoti, si trovava alla casa di riposo della Solatrix nella “sua” Rovereto. Novantotto anni compiuti lo scorso 12 marzo, aveva salutato l’anno scorso l’amata moglie Ilia Finotti, con la quale aveva condiviso un’intera vita e, animato da un forte spirito d’avventura, lo scautismo, la passione per la vita di campeggio in tenda, l’amore per la montagna, lo sci e la canoa.

Classe 1921, Guido, ottenuta la licenza per gli studi magistrali, nel 1941 aveva cominciato insegnare educazione artistica, salvo poi essere chiamato alle armi dal regime fascista. Aveva vissuto così, con i gradi di sottotenente alpino, quello che egli definiva “l’olocausto della guerra in Russia”. Al termine del conflitto, era ritornato ad esercitare la propria professione di insegnante, ottenendo la cattedra presso le scuole medie “Orsi” allora ospitate all’interno dell’istituto magistrale.

Adunata degli Alpini 2018: il saluto di Guido Vettorazzo sotto Maria Dolens – foto Gianni Zotta

A partire dal 1977, proprio alle “Orsi”, il professore si applicò all’insegnamento, nelle proprie classi, della complessa tecnica artistica del mosaico. “Vetro, marmo, cotte; tutti i tasselli colorati devono essere posizionati con minuziosa cura e pazienza, a testimonianza del certosino lavoro che tale tecnica figurativa richiede”, spiegava in un intervista al nostro settimanale nel febbraio 2018. Quello tra Vettorazzo e l’arte del mosaico è stato un vero e proprio rapporto affettivo: i lavori condotti dai ragazzi e dal professore roveretano si possono ancora oggi ammirare all’interno della palestra della scuola, ma ne è testimonianza anche il suo impegno di manutenzione dell’asilo russo di Rossosh che, adornato da due meravigliosi mosaici, è un vero e proprio monumento alpino, costruito negli anni ’90 dalle penne nere per commemorare i propri caduti di guerra e insegnare ai giovanissimi il valore della pace.

“Io sono stato fortunato, riesco a parlarne grazie anche alla scuola, alle numerose lezioni che ho potuto fare agli studenti sulla terribile campagna russa sul Don; altri invece si sono chiusi in sé stessi per il troppo dolore”, spiegava Vettorazzo, che ha avuto il gran merito di continuare a studiare, cercare documenti, produrre materiale per gli studenti. Lui stesso – dopo l’apertura a partire dagli anni Ottanta e Novanta canali di dialogo e poi di collaborazione con la Russia, così da avviare e portare al successo la ricerca dei caduti – fu protagonista in più occasioni della riesumazione e del ritorno in Italia di tanti che erano rimasti sul campo di battaglia.

Per 22 anni Vettorazzo aveva diretto la rivista alpina “Doss Trent”; nel 1980, con alcuni altri amici, fondò il gruppo “Amici della busta – Padre Mario Veronesi” con lo scopo di dare ai missionari roveretani un aiuto economico a sostegno delle loro attività. Ancora oggi il gruppo è attivo nella città, che un anno fa, in occasione dell’apertura dell’Adunata nazionale, lo vide impugnare per gli ultimi metri la fiaccola e accendere il focolare ai piedi della Maria Dolens. Visibilmente emozionato, l’ultra novantenne dopo aver acceso il braciere, si era voluto fermare, con un solenne saluto, sotto la Campana a ricordo di tutti quei giovani ragazzi che, con ogni divisa, sono caduti sotto l’orrore della guerra: un vero esempio di solidarietà, impegno, dedizione ed attenzione all’altro.

Quest'articolo fa parte della rivista Accogliere fa crescere
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