In queste ultime settimane i partiti politici e i mass media si sono essenzialmente esercitati a scommettere sul nome del prossimo Presidente della Repubblica, ma ben poco hanno discusso sulla sostanza del suo ruolo. In particolare, solo rari esponenti politici si sono ricordati di aggiungere al curriculum del candidato ideale lo status di personaggio internazionale ed europeo.
In effetti a leggere l’art. 87 della nostra Costituzione, i passaggi che riguardano un possibile compito di rappresentanza negli affari internazionali sono piuttosto stringati e vaghi. Naturalmente il Presidente rappresenta l’unità nazionale, ma questo è un aspetto ovvio e generico che vale sia all’interno che all’esterno. Più dettagliati sono altri paragrafi: accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, come gli impone il fatto di essere il fulcro dell’unità del Paese. Ratifica i trattati internazionali, ma solitamente dopo che questi hanno ricevuto l’autorizzazione da parte delle Camere. Infine, ed è forse la competenza più operativa, detiene il comando delle forze armate e ne presiede il Consiglio supremo di difesa. Può addirittura dichiarare lo stato di guerra, ma solamente se deliberato in precedenza dalle Camere.
A leggere queste poche indicazioni verrebbe quindi da dire che il ruolo di politica estera attribuito alla Presidenza della Repubblica sia ben poco rilevante. Sono i governi che devono occuparsene e che ne hanno la responsabilità diretta.
In realtà la prassi è molto diversa, come ci hanno insegnato episodi antichi e recenti di grande interventismo nell’agone internazionale di alcuni Presidenti. Si può addirittura ricordare il viaggio a Mosca nel 1960 del Presidente Giovanni Gronchi in piena guerra fredda e contro il parere degli americani e degli alleati della Nato. Vi era in Gronchi l’ambizione di aprire un dialogo con l’Urss e di attribuire all’Italia il merito di avere scavalcato la cortina di ferro dell’epoca.
Sui temi europei e internazionali abbiamo avuto anche in tempi più recenti Presidenti molto impegnati, come Carlo Azeglio Ciampi o Giorgio Napolitano che anche in periodi di grande difficoltà economica e finanziaria del nostro Paese hanno agito in prima persona per tenere un forte aggancio con Bruxelles.
Ma sul fronte internazionale ed europeo ad operare con notevole determinazione è stato soprattutto Sergio Mattarella, che rispetto ai suoi due predecessori aveva un curriculum internazionale nettamente inferiore. Eppure Mattarella si è mosso con notevole perizia in un settore, come quello della politica estera, che ha aspetti di complessità non indifferenti.
Lo ha fatto agendo dall’interno utilizzando una delle prerogative che la Costituzione gli attribuisce, allorquando si è opposto alla nomina dell’anti-Euro Paolo Savona al ministero dell’economia.
Ma soprattutto ha cercato di rimediare ai guasti prodotti dal governo giallo-verde nei rapporti con un partner di fondamentale importanza per l’Italia come è la Francia.
Chi non ricorda il viaggio verso Parigi di Luigi Di Maio, al tempo vicepremier, e Alessandro Di Battista in sostegno della ribellione violenta dei gilet gialli? Quell’atto ci era costato il più grave incidente diplomatico del dopoguerra con il ritiro dell’ambasciatore francese da Roma. Solo i buoni e rispettosi rapporti di Sergio Mattarella con Emmanuel Macron hanno gradatamente permesso il ritorno alla normalità. Anzi, con l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi, il nostro Presidente è riuscito a portare a maturazione un progetto di grande importanza, cui fin dall’inizio era stato dato il nome di Trattato del Quirinale: una serie di politiche ed accordi fra Francia e Italia in vari campi di interesse comune e l’avvio di consultazioni annuali bilaterali a livello tecnico e ministeriale, che dovrebbero dare continuità ai nuovi rapporti con i cugini d’Oltralpe.
Un modello che ricorda da vicino lo storico trattato dell’Eliseo fra Francia e Germania, che dal 1963 ha dato uno straordinario contributo alla collaborazione fra due Paesi che nel Novecento si erano combattuti aspramente.
Sarà compito del prossimo Presidente della Repubblica cercare di replicare una simile iniziativa con la Germania, con l’ambizione di dare vita non solo a rapporti stabili con Berlino, ma anche ad un triangolo virtuoso fra i tre Paesi a favore dell’Unione europea.
Da questi sintetici esempi è possibile comprendere l’importanza di un ruolo ancora troppo poco considerato nella ricerca di candidati per la Presidenza della Repubblica: proiettare un’immagine di continuità e credibilità della collocazione del nostro Paese in Europa e nel mondo. Serve soprattutto a coprire le debolezze e le incertezze della politica nazionale anche all’esterno dell’Italia, garantendo un punto di riferimento solido soprattutto nei periodi di turbolenze interne. In altre parole, un Presidente che rimedi ai vuoti lasciati troppo spesso dalla politica.
Ciò spiega l’attenzione con cui le cancellerie dei nostri Paesi alleati seguono le vicende dell’elezione di un nuovo Presidente e l’auspicio sovente espresso di avere nel Quirinale un interlocutore attento alle relazioni internazionali e al ruolo dell’Italia nel mondo.
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