Nella pellicola di Farhadi un eroe involontario tra sospetti e accuse

Amir Jadidi interpreta Rahim nel film di Farhadi “Un eroe”

Qualsiasi cosa faccia per risolvere un problema la situazione peggiora. Ogni sotterfugio gli si ritorce contro. Sono un crescendo di piccoli fallimenti e incomprensioni le giornate che Rahim (interpretato da Amir Jadidi) passa in permesso fuori dal carcere dove è finito per debiti non saldati con l’ex suocero. Al termine di “Un eroe”, dell’iraniano Asghar Farhadi, Gran premio speciale della giuria all’ultimo festival di Cannes e che con i precedenti “Una separazione”, del 2012 e “Il cliente”, 2017, ha vinto l’Oscar come miglior film straniero, non rimane che “arrendersi” all’evidenza che non esista un’unica verità, un solo punto di vista, ma che la realtà sia così sfaccettata e multipla da richiedere comunque un surplus di capacità di adattamento e permeabilità. Salvo poi, magari, come in questo caso, accettare il proprio destino.

Non è probabilmente un caso che alla fine il protagonista se ne torni in carcere stravolgendo, anche, il proprio aspetto, radendosi a zero capelli e barba. Oppure ci può essere una lettura più politica di quanto portato sullo schermo dal regista iraniano che è tornato a girare nel proprio Paese. E cioè che il sottotesto, ma è solo un’ipotesi, riconduca ad un inesistente sistema di giustizia “laica”, per così dire, che, pur con tutti i suo difetti, possa tutelare potenziali responsabili e relative vittime. E che ogni aspetto del reato e della sua espiazione sia legato più che altro alla propria appartenenza clanica, ad un insieme di conoscenze e appoggi che nulla hanno a che fare con l’esercizio della giustizia.

In questo senso, e forse proprio per questo, “Un eroe” rimane sospeso, in un limbo che non trova soluzione.

Qualche ulteriore indizio all’ipotesi formulata forse si può trovare in un’intervista di qualche tempo fa rilasciata dal regista a movieplayer. Tenendo presente di quanto Rahim, che in fondo è un povero diavolo che prova a riscattarsi, prima viene celebrato sui media e dalla comunità di riferimento perché, trovando una borsa piena di monete d’oro decide di restituirla alla proprietaria invece di usarle per pagare il debito, ma poi entra in un cortocircuito di sospetti e “accuse” come avesse montato la storia per trovare consenso e plauso. “In questi anni – rifletteva Farhadi – con l’avvento dei social media ho capito quanto potessero essere influenti nella creazione di eroi e per questo nel mio film hanno un ruolo determinante”. E più avanti: “Purtroppo la situazione in Iran (che è una teocrazia, ndr) non è migliorata, anzi è peggiorata da quando sono andato via. Quando sono tornato per girare questo film non ho trovato un’atmosfera migliore”.

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