“Dopo la pandemia. Tra ordine e disordine”. È questo il tema che affronterà il prossimo Festival dell’Economia di Trento. Dopo la tormentata vicenda del cambio di “cavallo” da Laterza al Sole 24 Ore, il titolo della manifestazione del prossimo giugno ben riflette le problematiche internazionali che sono prepotentemente emerse in questi tempi di Covid-19. L’anno appena trascorso ha in effetti oscillato fra tentativi di porre ordine alle politiche divergenti degli stati e la constatazione che a prevalere sia stato soprattutto il disordine.
Ad essere realisti la pandemia ha semplicemente accelerato una tendenza ormai visibile da diverso tempo sul fronte della disgregazione delle organizzazioni internazionali, dall’Onu all’Ocse, e ha messo ancora più in primo piano la politica di potenza di alcuni paesi, dalla Cina alla Russia, alla Turchia. In questa tenaglia negativa sono entrate in contrasto la democrazia liberale da una parte e dall’altra la crescente forza delle tendenze multipolari, a scapito di quelle multilaterali fatte di regole e principi comuni a tutti i paesi che ne fanno parte. È questa una delle ragioni per la quale il nostro premier Mario Draghi ha tanto insistito sul tema della revisione/ricostruzione del sistema multilaterale in occasione del G20 di Roma dell’ottobre scorso. In effetti riuscire a ridare forza alle grandi organizzazioni internazionali significa evitare che si apra una lotta di tutti contro tutti, con il rischio che poi si scivoli verso conflitti veri e propri. Quindi le pretese della Cina su Taiwan o quelle di Mosca sull’Ucraina dovrebbero essere negoziate e possibilmente risolte nell’ambito dell’Onu o in base ad accordi ad hoc, come quelli del gruppo di Minsk, cui partecipino anche paesi estranei alle contese in discussione.
Il vero guaio è che nel corso di questi ultimi due decenni il ruolo delle istituzioni multilaterali si è progressivamente svuotato, anche a causa del comportamento scorretto degli stessi paesi membri. Tipico è stato il caso dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che dopo avere aperto le porte alla Cina si è trovata a dovere subire, senza capacità di reazione, le pratiche disoneste di Pechino, che hanno permesso ai prodotti cinesi di invadere un mondo ormai privo di barriere. L’indebolimento del multilateralismo, e quindi della condivisione di regole valide per tutti, ha portato con sé anche il ridimensionamento dello sviluppo della democrazia. Proprio a fine anno questo tema è stato ripreso e rilanciato dal presidente americano Joe Biden nel cosiddetto Vertice delle Democrazie. L’obiettivo è quello di proteggere le democrazie dall’autoritarismo e dalla corruzione e promuovere la democrazia nel mondo non democratico. Più facile da dire che da fare, se sono valide le statistiche dell’Intelligence Unit dell’Economist che calcolano in 22 paesi su 165 esaminati quelli con democrazia “piena”. Né gli Usa né l’Italia sono in questo gruppo di testa, godendo solamente di una democrazia “imperfetta”. In particolare gli Usa non possono oggi vantare grandi crediti democratici, non tanto per l’assalto trumpiano a Capitol Hill, quanto per lo sconsiderato ritiro di Biden dall’Afghanistan. Ha infatti lasciato quelle popolazioni inermi di fronte al ritorno della dittatura talebana e ha soprattutto ignorato gli impegni multilaterali, a cominciare dalla Nato, evitando di consultare gli alleati. Quindi difficilmente si spiegano i circa 100 inviti diramati in occasione del Vertice e i criteri di inclusione/esclusione. Ad esempio, la richiesta di partecipare alla Polonia e il diniego per l’Ungheria.
Come ben sappiamo noi europei, entrambi i paesi sono sotto inchiesta da parte di Bruxelles proprio per violazione delle regole democratiche dell’Unione. Ed è davvero questa la grande battaglia che l’UE dovrebbe combattere se vuole mantenere un decente livello di democrazia al proprio interno e se, allo stesso tempo, vorrà impegnarsi a diffondere tali valori nel proprio vicinato. Fare pulizia a casa propria e sospendere od espellere i paesi che si allontanano dalle basi democratiche è quindi essenziale sia per la sopravvivenza dell’Ue che per il suo ruolo internazionale. In fondo, nel lungo periodo della pandemia, l’UE ha davvero corso il rischio di dissolversi, allorquando i singoli paesi hanno chiuso le frontiere interne e hanno deciso di affrontare la grande battaglia contro il virus in modo scoordinato. Solo con un colpo di reni, in gran parte inaspettato, Bruxelles è riuscita ad acquistare dosi di vaccino per tutti e a ridare fiato all’economia continentale con lo straordinario piano Next Generation EU. In termini di immagine questa ripresa del processo di integrazione può costituire un grande esempio per il mondo sull’utilità di un sistema davvero multilaterale come il nostro. Ma proprio perché esso riesca a sopravvivere e a diffondersi a livello globale è più che mai necessario legare strettamente la vocazione ad una cooperazione sempre più stretta al rispetto della democrazia in tutti i suoi membri, senza se e senza ma. L’ordine contro il disordine, appunto.
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