La condanna del fondamentalismo da parte del Papa nel viaggio aspostolico in Sri Lanka
“Per il bene della pace non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra. Risultano ancora una volta inequivocabili le parole di Papa Francesco, pronunciate ad oltre 10 ore d'aereo di distanza dal Vaticano, nello Sri Lanka, a Colombo, dove un'immensa folla, valutata in 300 mila persone, lo ha accolto calorosamente. I cattolici di questa repubblica asiatica insulare, conosciuta anche come Ceylon, di 21 milioni di abitanti, rappresentano un'esigua minoranza. La stragrande maggioranza è buddista e ben 300 monaci di questa religione lo hanno accolto al suo arrivo.
Ebbene anche in questo Paese Papa Bergoglio pronuncia il suo anatema alla “violenza in nome di Dio”, al fondamentalismo che “miete vittime innocenti”, come ha continuato a ripetere in questi primi giorni del nuovo anno e soprattutto dopo i tragici fatti di Parigi. Tanti “no” come avvenuto su altre rotte dei suoi viaggi a Tirana, Seul, Instanbul, con un appello altrettanto forte con i capi religiosi che lo hanno omaggiato nello Sri Lanka, prima del trasferimento nelle Filippine facendo dono di uno scialle arancione: il “golden showal” in segno di onore e rispetto. “Noi leader religiosi – ha affermato – dobbiamo essere chiari nell'invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi, sollecitando da parte di tutti rispetto “profondo e duraturo” per tutte le religioni.
Jorge Mario Bergoglio è stato salutato con canti e danze rituali dai buddisti che rappresentano circa il 70% della popolazione, gli induisti il 12%, i musulmani quasi il 10% e i cristiani, per lo più cattolici il 7,5%. La guerra civile, durata quasi trent'anni, ha drammaticamente insanguinato il Paese ed ha visto contrapposti il governo di Colombo e i Tamil che abitano nella porzione nord dell'isola (buddisti e indù). Al termine del conflitto civile nel 2009 erano scoppiati degli scontri causati dall'intolleranza religiosa contro le minoranze musulmana e cristiana, eventi ricordati da Francesco che ha comunque indicato la natura “pastorale” del suo viaggio con un appello a consolidare la pace e curare le ferite della guerra, a non aver paura delle diversità e promuovere i diritti umani. “È una costante tragedia del nostro tempo – ha affermato in uno dei suoi discorsi – che molte comunità siano in guerra”, ma occorre “superare il male con il bene”, perseguire la verità “non per riaprire vecchie ferite, ma per promuovere la loro guarigione, la giustizia e l'unità”. “Tutti – ha ancora aggiunto – devono essere liberi di esprimere le proprie preoccupazioni, i propri bisogni, le proprie aspirazioni e paure” e soprattutto “ad accettarsi l'un l'altro, a rispettare le legittime diversità”. La pace religiosa appare stabilizzata e ad accogliere il Papa c'erano il presidente neoeletto Maithripala Sirisena, i vertici di tutte le istituzioni pubbliche, le massime autorità dunque civili e religiose in una cornice coreografica che includeva anche un corpo d'onore delle forze armate, con 21 salve di cannone e 40 elefanti bardati con drappi sgargianti. Lo Sri Lanka è forse il Paese dove è più vivo il dialogo del cristianesimo con il buddismo. “Il mio governo – ha dichiarato Sirisena – si impegnerà a promuovere dialogo e riconciliazione, perché siamo un popolo che crede nella tolleranza religiosa e nella pacifica coesistenza”. Risale a vent'anni fa la visita di Papa Giovanni Paolo II, preceduto da Paolo VI. I vescovi cattolici hanno chiamato a più riprese guide religiose buddiste e indù a condividere iniziative di dialogo, pur fra critiche che non mancano da una parte e dall'altra. Non è casuale che il sottosegretario del Pontificio Consiglio per il dialogo religioso sia uno srilankese, mons. Indunil Jaanakaratne Koditthuwakku Kankanamalage.
La comunità srilankese in Italia conta circa 110 mila persone ed è costituita prevalentemente da cattolici: 3 su 4, che si riuniscono in 66 centri centri pastorali dal Nord al Sud, con 18 cappellani a tempo pieno e 20 collaboratori domenicali, in gran parte studenti nelle università pontificie. I primi emigranti arrivarono in Italia nei primi anni Settanta del Novecento, come lavoratori domestici presso i servizi Fao, attivandosi successivamente come ausiliari, badanti, commercianti e operai nelle industrie e in agricoltura.
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