Dall’altopiano di Brentonico a lavorare alla serie di animazione di Zerocalcare, “Strappare lungo i bordi”, il passo è breve. A far muovere i personaggi dell’ultima creazione del fumettista romano, che sta facendo il giro del mondo, è stato un ragazzo di Brentonico, Marco Raffaelli, assieme ad altre 30 persone, perché, come ci assicura, “dietro un cartone animato c’è tantissimo lavoro, anche solo per fare 20 secondi ci vuole tanto impegno”.
E con lui infatti, ad animare la serie, c’era anche Elena Sorrentino, padovana, con cui Marco ha fondato un giovane duo creativo che ha dato vita nel 2019 a “Pogu Studio”. Un piccolo gruppo artistico, dislocato tra Firenze e Roma, dove i ragazzi vivono, che produce cartoni animati, dallo story board al design fino alla produzione, ma collabora anche con grandi realtà come DogHead, lo studio di animazione fiorentino che ha firmato l’ultima opera di Zerocalcare. Una serie che racconta le avventure di Zero e dei suoi amici Sarah e Secco che devono affrontare nel corso della vita: dalle prime delusioni alle elementari fino ad arrivare alla ricerca di un impiego per sopravvivere. “Da marzo a giugno abbiamo lavorato, quasi sempre da remoto, a questo progetto: la qualità richiesta era molto alta – spiega Marco Raffaelli -. Ci arrivavano le scene con una traccia di storyboard e noi dovevamo animarle, ma il nostro era solo un tassello dell’infinito processo che c’è dietro un cartone animato. Solo a questo progetto ci hanno lavorato circa 200 persone tra Firenze, dove c’era il nostro studio, e Milano dove era concentrata la produzione”.
Marco ed Elena, dopo questa avventura con il fumettista che ha già suscitato le critiche della Turchia per la presenza di una bandiera curda in scena, sono occupati in diversi progetti: all’inizio del 2022 uscirà un film, dove hanno lavorato come autori dei cartoni. “Siamo due liberi professionisti, abbiamo collaborazioni con diverse realtà, ma dal punto di vista creativo preferiamo lavorare da zero ad un fumetto, ma non sempre capita. Allo Zecchino D’Oro, ad esempio, ci hanno dato carta bianca per creare le animazioni di due canzoni, ‘Il cha cha cha del gatto nella scatola’ e ‘Il ballo del ciuaua, in base al testo dei brani”. Ma i due ragazzi, selezionati anche tra i dieci finalisti di Strike – Storie di giovani che cambiano le cose, il concorso destinato a chi ha centrato un obiettivo, hanno già all’attivo diversi numeri. Hanno lavorato alla serie di Topo Gigio realizzata per Rai ragazzi, agli sfondi dei cartoni animati della clip finale del film Tolo Tolo di Checco Zalone, e hanno realizzato i fumetti per Baby, la serie di Netflix ispirata allo scandalo delle baby squillo dei Parioli. Ma come è iniziato tutto? “Ho iniziato a conoscere il mondo dei cartoni a Milano, dove ho frequentato la Scuola di fumetto, per poi approdare al corso di Animazione al Centro sperimentale di cinematografia a Torino – conclude Marco -. Mi è sempre piaciuto disegnare, ma non sapevo neanche come si faceva un cartone, non riuscivo ad immaginarne nemmeno il procedimento di creazione, poi appena arrivato a Milano ho iniziato a conoscere alcuni artisti, e ho capito che quella era la mia strada”. E perché Pogu? “Abbiamo scelto di chiamarci così un po’ per un caso. Cercavamo una parola per indicare i bottoni, quelli dei vestiti, che sono sempre stati presenti nei nostri disegni e sono diventati, senza volerlo, il nostro marchio distintivo. Così abbiamo digitato questa parola su Google e ci è uscita tradotta in varie lingue. Appena abbiamo letto, Pogu, la traduzione di bottone in lettone, ci ha subito ispirato”.
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