Don Bepi Grosselli ricorda un colloquio con il Papa, negli anni caldi di scontro tra marxismo e capitalismo
“Finalmente anche Paolo VI sarà onorato come beato”. Alla vigilia della beatificazione di Papa Montini, che si terrà il 19 ottobre, don Giuseppe Grosselli torna indietro con i ricordi agli anni in cui era delegato diocesano della Pastorale del lavoro e assistente provinciale delle Acli. “A quel tempo con Paolo VI abbiamo avuto momenti di sofferenza nell'obbedienza. Ma ci ha conquistati con la sua semplicità e con il suo desiderio di ricerca della verità”.
Erano gli anni dell'immediato dopo-Concilio. “A creare un po' di panico nella Chiesa italiana era la pastorale del lavoro. Stavamo vivendo il '68: 'esserci dentro' era una regola pastorale fondamentale, che valeva anche per i discorsi apparentemente più lontani dalla Chiesa: come atteggiarci nelle scelte politiche che si ponevano di fronte ai cristiani? Eravamo convinti che operando dall'interno era più facile risanare questa ideologia che diventava un'ideale, un'utopia che prometteva a studenti da una parte e operai dall'altra, la prospettiva di un futuro migliore. Certo con la filosofia marxista non si poteva scherzare: non solo atea, ma anticlericale, contro Dio”… Questi discorsi preoccupavano molto i vescovi italiani. Anche il Papa dunque aveva queste preoccupazioni (proprio Paolo VI tolse gli assistenti ecclesiastici dalle Acli, quando queste parlarono di 'ipotesi socialista': “Andavamo lo stesso, ma non eravamo più assistenti”), accompagnate però dall'intenzione di affrontare serenamente questi temi, di chiarire.
“Eravamo a Roma, ad un convegno nazionale dei delegati della Pastorale del lavoro nel 1971. A fine convegno, ci dicono che il Papa aveva desiderio di parlare con qualcuno di noi”. Tra i cinque rappresentati delle diverse regioni che si presentarono a Paolo VI, c'era anche Giuseppe Grosselli, proposto dagli altri delegati in quanto segretario del Triveneto. Il colloquio con Paolo VI durò circa un'ora: “Si è messo lì come uno di noi, alla pari, a farci domande, perché lo aiutassimo a capire. Perché parlate di lotta di classe? Perché parlate di conflitto permanente? Perché non vi accorgete delle difficoltà che ci sono in una scelta di tipo marxista socialista? E noi davamo le nostre risposte. La lotta di classe? C'è nella società: il capitale da una parte, il popolo dall'altra che porta le braccia. Il capitale è forte, l'unica forza che hanno gli operai è il loro numero, e il loro gridare contro le ingiustizie, e noi stiamo con loro. E il Papa ha ascoltato, ha messo via”.
Don Bepi ricorda ancora quel momento con stupore: “il Papa che si è messo alla scuola di noi pivellini, per sentire cosa pensavamo!”. “Stupendo”, dice, eppure “a noi sembrava tutto normale, quasi ovvio, eravamo talmente abituati al dialogo con tutti, anche con l'autorità. Come si andava con il sindaco di Trento o con il presidente della Provincia o con il capo degli industriali quando c'era qualche problema, ora eravamo dal Papa”.
Paolo VI incontrò i preti della pastorale del lavoro in funzione di una lettera apostolica che stava per scrivere, la Octogesima adveniens. “Non un'enciclica, precisa don Grosselli, proprio per non compromettere troppo il suo magistero, ma una lettera in cui affronta questi temi, alla luce dell'insegnamento sociale della Chiesa”: il Papa scrisse come giudicare i nuovi fenomeni sociali, dall'urbanesimo al movimento femminista; pose la fede cristiana al di sopra delle ideologie socialista e liberalista; invitò all'azione politica, perché “la politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l'impegno cristiano a servizio degli altri”.
“Questa lettera – ricorda don Grosselli – era risuonata nell'opinione pubblica come una condanna delle ideologie, del socialismo; noi, invece, l'abbiamo vista come lo sforzo del Papa di mediare… quell'incontro che abbiamo fatto con lui, così fraterno, aveva portato qualche frutto”.
A quel convegno il Papa disse ai preti: “Gli operai possano dire di voi: è uno dei nostri”. “Voleva dire 'esserci dentro', sposare la loro causa, ma dire anche la nostra, avere il coraggio di testimoniare. Questa beatificazione, conclude Grosselli, è un riconoscimento della sua opera tribolata e sofferta. Capisco le sue preoccupazioni di allora, ma vedo anche il coraggio di un uomo che ha saputo leggere i segni dei tempi, fermarsi a riflettere e dare un orientamento al popolo di Dio per quel tanto che allora si poteva capire”. Un Papa in dialogo, che nelle diverse situazioni si poneva da mediatore (forse, dice Grosselli, “Papa Francesco ha più coraggio del rischio”), ma che sempre si metteva in ascolto, con umiltà.
Alla fine del loro colloquio, Paolo VI chiese a quei cinque preti se avevano anche loro qualche domanda. Ricorda Grosselli: “Io, preoccupato più delle cose pratiche, pastorali, che di altro, ho chiesto al Papa: perché i ragazzi che abbiamo alla catechesi si portano alla cresima a 12-13 anni, che ancora non capiscono la scelta che fanno? Non si potrebbe dare la cresima ai ragazzi di 16-17 anni, in modo che prima di entrare nel mondo del lavoro professino il loro impegno a testimoniare Gesù Cristo nella società? E lui mi guarda sorridendo: Cosa vuoi… – mi dice – io qui sono soltanto il Papa!”.
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