Di fronte ai massacri che la Storia ciclicamente presenta, la tendenza, a volte, è quella di pensarli comunque lontani (Ruanda e Iraq, solo un paio di esempi, altri se ne potrebbero fare) e forse per questo più “accettabili” (anche se non da parte di tutti ovviamente), volutamente il termine è tra virgolette e se mai la parola può rendere l’idea. Come non ci riguardassero, perlomeno non completamente, non appartenessero al nostro mondo, al nostro supposto sistema di valori peraltro più volte “stracciato” e fatto a pezzi. Dimenticando che poco più di un secolo fa nel vecchio continente ci si è massacrati a milioni. E si potrebbe andare avanti.
Probabilmente proprio per questo motivo (è un’ipotesi), tanto più quando l’orrore dista solo poche centinaia di chilometri dalle nostre case, in questo caso dall’altra parte dell’Adriatico, è come se sopravvenisse e si aggiungesse un processo di rimozione che segue strade imperscrutabili. È la netta sensazione che lo scorso anno, alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, abbiamo avuto a fronte delle reazioni degli addetti ai lavori ma anche del pubblico dopo la proiezione, in concorso, di “Quo Vadis, Aida?” della bosniaca Jasmila Zbanic (già Orso d’oro alla Berlinale 2006 con “Il segreto di Esma”) sul genocidio di Srebrenica del 1995. Oltre 8.000 bosgnacchi (bosniaci musulmani) massacrati dai serbo-bosniaci del generale Ratko Mladic condannato all’ergastolo (anche in appello) dal meccanismo residuale del Tribunale internazionale dell’Onu all’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia.
Film passato non del tutto inosservato (di lì a poco avrebbe concorso anche all’Oscar, in rappresentanza della Bosnia, per il miglior film straniero), ma comunque tacciato di un certo didascalismo, quasi “rozzo”, non intuendone la potenza realistica, una messa in scena di massa che turba le coscienze nonostante non ci si trovi una sequenza di violenza esplicita, ma tutto sia giocato su un “incastro” percepibile, in rotta verso l’abisso ineluttabile (sommato all’ignavia dell’Onu e di tutta la catena di comando), ma non visto, come solo il cinema può e sa fare. C’è voluto più di un anno perché “Quo Vadis, Aida?” arrivasse nelle sale italiane (prossimamente anche al cinema Astra di Trento) e un processo di metabolizzazione, di presa di coscienza, si sia innescato, forse.
Basato sulle memorie di Hasan Nuahanovich, traduttore per l’Onu all’epoca dei fatti, “Quo Vadis, Aida?” vira al femminile, con protagonista l’intensa Jasna Đuricic (l’Aida del titolo), che tenta, disperatamente e senza riuscirvi, di mettere in salvo la famiglia in mezzo ad una comunità in fuga, intrappolata fuori e dentro il compound dell’Onu a Potocari. “Questo film – commenta la regista – parla di una donna alle prese con un gioco di guerra tra uomini. Parla di coraggio, amore e resilienza e anche di quanto può accadere se non riusciamo a reagire tempestivamente ai primi segnali di pericolo. Sono una sopravvissuta alla guerra in Bosnia. Un giorno hai tutto, il giorno dopo la maggior parte delle cose che conoscevi non esiste più. Solo perché riteniamo che alcune cose siano inimmaginabili non significa che non possono accadere”.
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