Democrazia in difficoltà, ma non in pericolo

La prima pagina del quotidiano Avvenire di martedì 12 ottobre

I fatti di sabato scorso a Roma (ma con appendici a Milano, Torino e qualche realtà minore) sono stati occasione per un dibattito allarmistico sul ritorno della sfida fascista. Si è trattato indubbiamente di un evento molto grave, ma anche di un fenomeno complesso che andrebbe analizzato in maniera appropriata.

Chiaramente la parte che fa più impressione è lo spazio che si è guadagnato l’estremismo squadrista di estrema destra, che non si è riusciti a contenere in maniera adeguata. Che preoccupino le sceneggiate che prendono a prestito richiami fascisti e talora nazisti ripresi dai fumetti è naturale, anche se non hanno alcun legame profondo con un fenomeno storico molto complesso come fu il fascismo. L’uso della violenza distruttrice e irrazionale è un fenomeno che è stato molto presente nel fascismo storico, ma che è esistito nella storia prima di esso e purtroppo ogni tanto ritorna anche dopo: non è un caso che si presenti continuamente nel fenomeno del tifo violento.

È da chiedersi come e perché a queste frange sia stata lasciata la briglia sciolta in questi ultimi tempi. Crediamo che la risposta vada cercata nello spazio che si è concesso al diffondersi di leggende metropolitane su presunte deviazioni della scienza, su complotti contro le libertà individuali, su denunce dell’oppressione dei diritti di tanti particolari imprenditori (il movimento “io apro” che tocca il settore dell’intrattenimento di vario tipo).

Chi cerca di distinguere fra un popolo “innocente” che in maniera legittima critica le politiche di contenimento della pandemia e un manipolo ristretto di esagitati che cercano occasioni per menare le mani e imporsi con lo squadrismo non ha colto che i secondi si sono sentiti legittimati in quella che appare loro come la classica “forzatura delle contraddizioni” proprio dal retroterra che fornisce la subcultura dei primi (i quali, fra il resto, si guardano bene dall’espellere quelle frange dai loro cortei).

È una lettura del nostro sistema democratico come un regime “in crisi” ciò che costruisce il brodo di coltura di questi sogni eversivi. Come nella crisi del 1968-1975 l’approdo nel terrorismo di una quota delle proteste fu incentivato dalle leggende sulla “resistenza tradita”, sull’imperialismo americano che distruggeva tutte le libertà e via dicendo, oggi lo spazio che si continua a dare a tesi come quelle per cui abbiamo governi non eletti dal popolo, parlamenti e assemblee rappresentative piene solo di “nominati”, dominio di oscuri “poteri forti” che tutto controllano e tutto manipolano, è quel che convince una parte, per fortuna ancora limitata, che è ora di “ribellarsi” lasciando così spazio a quelli che eternamente si illudono di essere le “avanguardie” e le “scintille” che faranno saltare il sistema col ricorso alla violenza.

È quest’acqua in cui nuota la protesta anche estrema che va prosciugata con una coraggiosa operazione culturale, che le forze politiche dovrebbero avere il coraggio di promuovere, anziché cadere nella solita diatriba fra chi agita la bandiera dell’antifascismo e chi ripropone la teoria degli opposti estremismi di destra e di sinistra da cui prendere le distanze. Ovviamente il fatto che siamo ancora in una fase elettorale, purtroppo destinata a durare oltre i ballottaggi della settimana prossima, non facilita l’operazione. Centrosinistra e centrodestra cercano di delegittimarsi reciprocamente, indifferenti al fenomeno dell’astensionismo che ha mostrato quanto poco queste sacre (si fa per dire) rappresentazioni entusiasmino i cittadini: ma non importa, perché per entrambi ormai l’obiettivo è tenersi stretti i rispettivi pasdaran, provando a richiamare quei non molti che si sono buttati nell’area grigia della non partecipazione al voto.

Eppure il momento è molto difficile. Abbiamo iniziato la fase di ripresa, forse stiamo riuscendo a mettere sotto controllo la pandemia, e per andare avanti con la ricostruzione avremmo bisogno di coesione sociale e di politiche inclusive. Ma è proprio quello che non vogliono tutti coloro, e credeteci non sono pochi, che hanno fatto il nido nelle turbolenze degli ultimi decenni e che ora vedono crollare i loro poteri accumulati per l’esigenza di promuovere un nuovo modo di fare politica e di promuovere sviluppo.

Sono queste forze, oscure perché difficili da individuare con precisione, quelle che magari molto indirettamente non vedono di malocchio il ritorno di una certa “strategia della tensione”. Ma noi che ci siamo passati non vogliamo proprio che ritorni. Allora ci portò molti guai, oggi ce ne procurerebbe di peggiori e ci farebbe perdere l’occasione storica di rinascita che abbiamo davanti. Dunque bisogna essere consapevoli che la nostra democrazia è in difficoltà, ma non in pericolo, solo che noi siamo disposti a continuare a darle vitalità.

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