Quando Alidad Shiri, per scappare dall’Afghanistan, dovette addirittura nascondersi sotto l’asse delle ruote di un camion, per attraversare il Mediterraneo e passare il confine dalla Grecia all’Italia, non c’erano ponti aerei e corridoi umanitari. Nel suo Paese però, chi come lui o i suoi famigliari era perseguitato dai talebani al potere per ragioni di etnia, sesso o religione, viveva una paura simile a quella che vediamo in questi giorni, nelle tragiche immagini rilanciate dai media di tutto il mondo.
Alidad oggi vive in Italia, si è da poco laureato e fa il giornalista e lo scrittore, ma il suo cuore e la sua mente sono al fianco dei tanti amici e conoscenti ancora a Kabul, e di tutti gli afghani che rischiano giornalmente la vita. “Non dormo da giorni, per la preoccupazione e perché sono in contatto con moltissime persone, soprattutto donne, che mi chiedono aiuto, mi contattano anche di notte”, ci racconta al telefono.
Shiri, quanto rivede del Suo passato nelle scene di disperazione che arrivano dall’Afghanistan?
Ricordo benissimo la paura che c’era, le persone angosciate. Ora ciò accade forse in maniera ancora peggiore, perché 25 anni fa non si sapeva come avrebbero agito i talebani al governo, mentre oggi è noto quanto sono pericolosi. Hanno ucciso tantissime donne e persone appartenenti a minoranze come gli hazara, che sono musulmani sciiti e non sunniti, o i sikh. In tutto il Paese c’è paura: i talebani stanno cercando casa per casa chi ha collaborato con l’occidente o chi faceva il militare. Per questo in tantissimi stanno cercando di scappare, ma è difficile nel caos totale di Kabul.
Cosa la preoccupa maggiormente?
Soprattutto la situazione delle donne: 25 anni fa, sotto il regime talebano, non potevano neppure uscire di casa, figuriamoci lavorare o andare al cinema, ascoltare musica o fare altre cose. Oggi nel parlamento afghano il 27% dei parlamentari sono donne. Sono diventate giornaliste, avvocate, magistrate, imprenditrici. Hanno sfidato il fondamentalismo che in Afghanistan è molto forte e per questo rischiano molto. Chi aveva tolto il velo, chi si è espressa contro i talebani ed i fondamentalisti è finita sulla loro lista nera, dobbiamo fare tutto il possibile per salvarle.
Come si sta muovendo la comunità internazionale? Il rinvio del ritiro delle truppe, di cui si è parlato alla riunione di emergenza del G7, può essere una soluzione?
Sì, ai talebani non conviene che la comunità internazionale rimanga ancora in Afghanistan, perché potrebbe spingere le persone a ribellarsi. Loro preferiscono che escano velocemente, io spero che rimangano, vedo una resistenza civile da parte della società afghana, in particolare da parte delle donne, che sono scese in piazza. In ogni caso non bisogna riconoscere il governo talebano in questo momento, si rischia di dare legittimità ad un governo fondamentalista.
Quindi non va dato per perduto il controllo del Paese?
Ancora no, Ahmad Massud il figlio di quel Massud che 25 anni fa guidò la resistenza della regione del Panshir contro i talebani, ha detto chiaramente che non vuole mollare e tornare a vivere in un regime oppressivo, che non riconosce i diritti umani e quelli delle donne. Ha chiesto l’aiuto dell’occidente e sta raccogliendo tutti gli ex militari che oggi rischiano per combattere contro i talebani. Una resistenza civile c’è.
Cosa si può fare invece dall’Italia? C’è chi invoca i corridoi umanitari.
Il corridoio umanitario è uno strumento molto importante, ma in questo momento temo ci sia troppa confusione per riuscire a metterlo in atto. Il Canada aveva provato ad attivarlo, coinvolgendo l’UNHCR, ma è molto difficile, perché bisogna instaurare rapporti con i talebani. In questo momento credo sia necessario aumentare il ponte aereo, per salvare le persone che rischiano, come sta facendo il nostro funzionario a Kabul Tommaso Claudi, che sta facendo un lavoro straordinario. C’è bisogno della società civile per dimostrare al popolo afghano che anche l’occidente è indignato rispetto a quanto sta succedendo. È molto importante organizzare manifestazioni, dare una mano ai rifugiati che arrivano.
Da parte del popolo italiano che atteggiamento percepisce?
Sto ricevendo tantissime telefonate o messaggi di persone che si rendono disponibili per accogliere i rifugiati nella loro casa, ad insegnare loro l’italiano. Vedo verso il mio popolo una vicinanza straordinaria da parte della società civile italiana. Voglio ringraziare tantissimo le persone che stanno cercando di aiutare chi rischia. Anche la Diocesi di Trento sta facendo un lavoro straordinario, il nostro vescovo Lauro è stato bravissimo, sia sul fronte dell’accoglienza che nelle parole che ha speso, per il loro valore umano e morale.
Lascia una recensione