“Moda sostenibile, c’è l’interesse dei consumatori”: l’intervista a David Cambioli

David Cambioli si occupa di Commercio Equo e Solidale dalla fine degli anni ‘80. È presidente di Equo Garantito dal 2022

La consapevolezza dei consumatori rispetto alla sostenibilità dei prodotti è cresciuta negli anni in modo significativo, soprattutto nel settore alimentare, grazie all’azione del Commercio Equo e Solidale. Anche la grande distribuzione oggi dedica nei supermercati una zona per quella fetta di mercato che sceglie prodotti biologici, a chilometro zero o provenienti dal Commercio Equo e Solidale, prestando attenzione all’impatto ambientale e sociale delle proprie scelte. Più di recente questa sensibilità ha contagiato anche il settore tessile. Lo conferma David Cambioli, presidente di “Equo Garantito”, l’Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale, che da oltre vent’anni rappresenta le organizzazioni aderenti alla Carta italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, promuovendo giustizia sociale ed economica attraverso la costituzione di rapporti di partenariato con produttori dei Paesi del sud del mondo e la promozione di nuovi stili di vita e consumo critico nel nord del mondo. Ogni prodotto di Equo Garantito è realizzato rispettando la biodiversità, migliorando il benessere delle comunità e garantendo i diritti dei produttori, nel rispetto dell’ambiente, creando opportunità di mercato e partecipazione e combattendo ogni forma di sfruttamento. Ciò è vero anche nel caso dell’abbigliamento anche se i numeri, oggi, non sono ancora particolarmente significativi, mentre l’interesse di alcuni grandi marchi spesso si limita a operazioni di green social washing.

Cambioli, come sta evolvendo il mercato del Commercio Equo e Solidale in Italia, in particolare nel settore tessile?
Se consideriamo la moda sostenibile in generale vediamo un’evoluzione costante. Lo dicono i numeri e la vivacità degli operatori. È bene precisare, però, che quando parlo di moda sostenibile metto insieme equo e solidale, biologico, second hand e moda circolare. Nel caso del Commercio Equo e Solidale la crescita è più lenta in quanto veicolata quasi esclusivamente attraverso le Botteghe del Mondo in Italia, una parte delle quali non ha una vocazione per la promozione della moda. Oltre a ciò, in questo momento il Commercio Equo e Solidale, come buona parte del commercio al dettaglio, ha difficoltà a crescere.

Quale ruolo svolge “Equo Garantito” nel panorama del Commercio Equo e Solidale in Italia?
“Equo Garantito” è un’organizzazione di categoria del Commercio Equo e Solidale, che riunisce la maggior parte delle organizzazioni del settore che gestiscono le Botteghe del Mondo e le cooperative di importazione. Equo Garantito ha tra le sue principali attività la promozione del Commercio Equo e Solidale attraverso incontri e pubblicazioni di vario genere dedicate a questo argomento. Gestisce un sistema di garanzia che è stato sviluppato sulla base della “Carta dei criteri” del Commercio Equo e Solidale. Sulla base di questi criteri Equo Garantito si occupa di monitorare l’attività dei soci e lo fa attraverso un soggetto terzo, che garantisce un controllo esterno all’associazione sui dati raccolti. Quello che Equo Garantito fa è verificare che tutti i soci operino in base ai criteri stabiliti, per garantire ai consumatori la trasparenza della filiera e l’eticità dei prodotti che acquistano. Oltre ciò, svolge un’attività di advocacy verso istituzioni e organizzazioni varie sul territorio nazionale e offre diversi servizi ai soci, come ad esempio la formazione.

Quali sono le principali sfide che le organizzazioni del settore devono affrontare oggi?
Per quanto riguarda l’abbigliamento, penso che la sfida principale sia quella di coinvolgere un numero maggiore di consumatori, oltre a quelli che conoscono e comprano nelle Botteghe del Mondo, cercando canali di promozione diretti a un mercato più generalista, come possono essere, ad esempio, i canali di vendita online e i negozi interessati alla moda ecosostenibile. Questo da un punto di vista commerciale.

E dal punto di vista della comunicazione?
Ritengo che sia necessario individuare modalità di comunicazione più comprensibili al consumatore di oggi: i nostri contenuti sono, forse, ancora legati a una fase precedente della storia economica e sociale del mondo. Dobbiamo provare ad aggiornare il linguaggio, con termini riconoscibili nel contemporaneo.

Secondo lei, i consumatori sono sensibili a queste tematiche?
I dati che leggiamo dicono che sì, sono sensibili e attenti, in particolare i giovani fino ai 30 anni di età. La sensibilità c’è, ed è certamente maggiore rispetto a quella che poteva esserci dieci, quindici anni fa. Il problema, forse, è che a volte siamo noi troppo lenti a intercettare questo interesse.

Come garantire che le filiere nel settore tessile siano davvero etiche e trasparenti, andando oltre fenomeni di green social washing?
Lo si può fare, attraverso un sistema di garanzia e certificazione e lavorando con aziende e imprese come le nostre, che operano lungo tutta la filiera. Noi abbiamo scelto questa modalità di lavoro e questa portiamo avanti. Lavorare insieme ai produttori equivale a sapere dove vengono realizzati i nostri prodotti e conoscere i passaggi che li portano fino dentro i nostri negozi. Sui grandi numeri tutto ciò è molto più complicato. La differenza tra una grossissima azienda e noi è che mentre noi del Commercio Equo e Solidale produciamo abiti attraverso produttori che sono persone in carne e ossa, volti e storie che conosciamo, in generale nel settore dell’abbigliamento un’azienda cura il design del prodotto e poi si affida a un broker, la cui unica preoccupazione è produrre a un prezzo e in un tempo il più bassi possibile, senza altre attenzioni, come le condizioni di lavoro, la salute degli occupati, il rispetto dell’ambiente. Noi, invece, cerchiamo di lavorare con chi si impegna a garantire condizioni dignitose.

Quali misure politiche sarebbero necessarie per sostenere il settore?
Quello che stava facendo l’Unione europea, mettendo a punto dei regolamenti per stimolare la trasparenza e la responsabilità di chi importa e vende capi prodotti dall’altra parte del mondo era la strada giusta, ad esempio con la Direttiva sulla Due Diligence del 2024. Purtroppo, quel poco che si era provato a normare è stato molto diluito e non sappiamo se si giungerà all’applicazione di norme efficaci e stringenti. Rendere obbligatoria la trasparenza vera e ritenere responsabile la committenza dell’eventuale sfruttamento della manodopera nei Paesi terzi, come anche in Italia, sarebbe la strada migliore da perseguire.

Ci sono progetti innovativi o iniziative che state sviluppando per il futuro?
Dal punto di vista della trasparenza e della comunicazione, ritengo che sarebbe utile lavorare un po’ di più sulla blockchain e su altre tecnologie di identificazione digitale sicura. Da qualche tempo abbiamo iniziato a ragionare sull’upcycling, per cercare di ridurre il consumo di materie prime. Quindi, la strada è da un lato cercare di utilizzare materie prime di qualità, biologiche e prodotte secondo criteri etici; dall’altra, cercare di riutilizzare quanto è già stato prodotto.

Quale consiglio darebbe ai consumatori che conoscono i prodotti alimentari del Commercio Equo e Solidale e vorrebbero fare scelte ugualmente etiche e sostenibili anche per vestirsi?
I prodotti alimentari del Commercio equo e solidale sono più diffusi, si possono trovare anche sugli scaffali del supermercato. Lo considero un bene, perché da sempre diffondono a un largo pubblico l’idea che si può produrre senza sfruttare e distruggere l’ambiente. Per gli articoli del settore moda al momento non abbiamo una tale diffusione. Ma tante sono le realtà che ci lavorano e oggi il Web ci aiuta a trovarle. Chiunque di noi ha un cellulare con cui naviga e acquista. Basta fare le domande giuste e troverete tante realtà fisiche e virtuali che propongono articoli di moda etica. La qualità della trasparenza della loro comunicazione vi aiuterà a fare la scelta giusta. Faccio questo lavoro da anni e posso dire che oggi è veramente facile trovare in rete prodotti realizzati rispettando criteri etici ed è possibile verificarlo. Dunque curiosità, un pizzico di impegno e la volontà di sostenere chi fa le scelte giuste.

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