«Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»

30 marzo: IV domenica di quaresima – C

Letture: Gs 5,9a.10-12; Sal 34; 2Cor 5,17-21. 10-12; Lc 15,1-3.11-32

«…bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,32)

Il nostro viaggio alla scoperta di Dio continua con una delle parabole più note del vangelo di Luca: «Un uomo aveva due figli…» (15,11). Centro della parabola è un uomo, un padre descritto dalla relazione con i suoi due figli: ama entrambi senza condizioni; li raggiunge dove sono, nella loro disperazione e nel loro rancore; gioisce nel ridonare loro la vita. Con il figlio minore il suo amore si esprime nell’accoglienza e nel perdono; con il primogenito nell’invito a riscoprirsi fratello e a rientrare in casa. Vede, infine, la pienezza della sua paternità nel ridonare ad entrambi l’identità perduta, rigenerandoli come figli e come fratelli.

Il brano si può dividere facilmente in due parti: la prima (vv. 12-24) è un racconto commovente e concluso. Il figlio minore esige la sua parte di eredità esprimendo così la volontà di un distacco assoluto dal padre e dalla casa. Idolo di se stesso, libero da ogni legame, perde ogni cosa nella ricerca frenetica della felicità fino a perdere se stesso: è servo di un non-ebreo, un “pagano”, e vive tra i porci, animali impuri per eccellenza. Luca accentua la sua condizione invertendo i verbi che descrivono l’azione di cibarsi: mentre i porci “mangiano”, lui desidera “riempirsi il ventre”. Toccato il fondo, rientra in se stesso e decide di ritornare a casa per una ragione molto concreta: la fame. Riconosce le proprie responsabilità, il proprio peccato e senza pretese si pone in cammino. Stupito ritrova un padre in attesa che gli corre incontro, lo abbraccia, lo riveste, gli ridona la dignità e l’identità perduta. Un padre colmo di gioia che prepara una grande festa per il suo ritorno alla vita.

Molto più complessa, invece, è la seconda parte (vv. 25-32). Il figlio maggiore non ha mai abbandonato la casa ma in realtà non vi è mai entrato: ha obbedito al padre ma non lo ha conosciuto. Forse per questo è incapace di riconoscere il volto del fratello nel dissipatore e peccatore ritornato; non comprende la gioia del padre e giudica folle il suo perdono. Mentre il padre parla con compassione, egli risponde con risentimento. Chiuso nella sua indignazione rifiuta di entrare in casa per condividere il banchetto di gioia per la “risurrezione” del fratello. Per questo rifiuto della relazione con il padre e il fratello diventa estraneo a se stesso: si considera un servo, non un figlio e un fratello.

Il sipario cade sul confronto tra la compassione del padre ed il risentimento del figlio primogenito. Le ultime parole appartengono, tuttavia, al padre: sono un invito ad entrate nella festa della gratuità, ad abbandonare la logica del dovuto e la toga del giudice, per rivestire vesti di misericordia. È chiaro che questo è il punto a cui Gesù vuol portare i suoi ascoltatori perché dilatino il proprio cuore e si aprano all’incontro. Farisei e Scribi, rappresentati dal figlio maggiore, riusciranno a fare loro il cuore e la volontà di Dio ed entrare nel banchetto preparato anche per peccatori e pubblicani (vv. 1-3)? Mettendo da parte i loro pregiudizi e schemi morali, riusciranno ad accettare come membri della famiglia di Dio coloro che Dio già accetta? Oppure, rifiutandosi di abbracciare la logica del Padre si auto-escluderanno dalla famiglia di Dio?

Queste domande sono rivolte anche noi: Dove siamo? Lontano da casa o sulla soglia di una porta che non abbiamo il coraggio di varcare? Con quale figlio ci identifichiamo?

Proviamo a scrivere con la nostra vita la conclusione di questa parabola.

vitaTrentina

Got Something To Say?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina