Rispondiamo al male con il bene

Ogni conflitto è un suicidio per l’umanità. Ogni guerra è una sconfitta, che non risolve nulla. Lo ha ripetuto mille volte in dodici anni papa Francesco e nella lettera di venerdì dal “Gemelli” scrive che “in questo momento di malattia” la guerra appare “ancora più assurda”, perché “non fa che devastare le comunità e l’ambiente”, scrive al direttore del Corriere della Sera (ma non si rivolge solo a lui) – senza offrire soluzioni ai conflitti”. Già, la violenza non si vince battendo colpo su colpo. In Occidente ci siamo illusi di poterci salvare dalla “tempesta perfetta” scatenata dal trionfo della cultura dello scarto, rinchiudendoci in noi, elevando muri invece di costruire ponti. Tutto ciò ha generato un individualismo radicale che, come dice papa Francesco nelle sue encicliche, è il virus più difficile da sconfiggere.

Oggi serve una presa di posizione chiara e coraggiosa. Stare dalla parte dei diritti e della dignità è abbracciare il senso del nostro esserci su questa madre terra. Per comprendere il valore della pace è necessario capire la centralità del concetto di cura nel rapporto con il prossimo. A proposito, nel Vangelo di Luca, ci viene proposto il modello del Buon Samaritano. La parabola chiarisce bene il concetto di gratuità, addirittura immotivata, che è legato al dono della cura. Dal paradosso di occuparsi di chi non si conosce discende per il Vangelo l’idea che dovremmo avere dell’altro come oggetto di cura disinteressata. Una cura basata soprattutto sulla disponibilità e sull’offerta del nostro tempo. Il Samaritano infatti è capace di mettere da parte non solo i suoi pregiudizi, ma anche le sue priorità, davanti alla necessità del suo prossimo. Senza conoscerlo, lo considera degno di ricevere il dono della cura. L’esistenza di ciascuno di noi è legata al gesto di questo dono, che rende la vita non semplicemente tempo che passa ma piuttosto tempo dell’incontro. Nell’esempio di San Francesco d’Assisi, sentirsi figli di Dio nel compiere un gesto di cura e di attenzione verso il prossimo, assume il significato di un‘azione di riappacificazione, ci porta a non rispondere al Male con il Male, ma piuttosto con il Bene. «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt. 5,9), ci suggerisce che i gesti di cura costruiscono e che sono necessari per essere solo testimoni, ma veri agenti e profeti di pace.

Anche in queste giornate di nuove stragi e di tregue deboli, impegnarsi per la pace deve essere per tutti noi un processo di auto-consapevolezza. E un passaggio importante è il bisogno di giustizia che è direttamente collegato con la necessità di uno spazio di pace. Ogni guerra, infatti, non è solo perversione della creazione in distruzione, ma anche espressione di una profonda ed evidente ingiustizia. Come ricordava Giovanni Paolo II: «Non c’è pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono». La giustizia cammina con la pace e sta con essa in relazione costante e dinamica.

Osare la pace è quindi non solo appello alla politica, ma soprattutto appello a sé stessi. È un dono da invocare, accogliere e rendere operoso, in modo da far scaturire un flusso di umanità e misericordia, che da sola dà corpo alla pace. Osare la pace è percorrere un cammino interiore per lavorare con pazienza sul nostro disarmo interiore, avendo il coraggio di rispondere alle domande della responsabilità per ognuno di noi.

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