Antonio Rosmini, oltre che filosofo, è stato un importante pedagogista. Traccia i lineamenti del suo pensiero nel libretto “Della educazione cristiana”, steso nel 1821 a Rovereto per la sorella Gioseffa Margherita, che cerca consigli sul modo migliore di educare le giovani ospiti dell’orfanotrofio che dirige. Lo stampa nel 1823 e subito riceve accoglienze positive. Alessandro Manzoni, incontrando per la prima volta Rosmini nel 1826, gli dirà di conoscerlo per la fama di quella sua opera.
Il libro è rivolto agli educatori di bambini e preadolescenti. In esso, Rosmini si rifà alla Bibbia, ai Padri della Chiesa e ai grandi pensatori cattolici. Avverte: «Non ho cercato di fare un’opera di erudizione, ma di edificare». Educare significa rendere l’uomo libero, padrone di sé, che sappia in cosa consiste il suo bene e in che modo raggiungerlo, formandosi una capacità di giudizio matura e solida. Solo con una educazione «unicamente religiosa» l’uomo può «attendere alla sua sublimità e alla somiglianza con Dio». Occorre fornirgli «il principio di ogni bene nel vivere»: crescere nella virtù e nel bene e combattere gli errori che portano al vizio, al peccato, al male. Un progetto in «due piani: le verità cristiane e le virtù», le prime da insegnare, le seconde da infondere.
Rosmini infatti non è d’accordo con i pedagogisti illuministi (Rousseau, Voltaire), che non hanno alcuna esperienza dell’uomo reale. Dicono che il bambino, nato naturalmente buono, viene corrotto e contaminato dalla famiglia e dalla società, che gli impongono una morale estranea alla sua inclinazione naturale. Con la loro educazione negativa, non vogliono insegnargli né morale né virtù religiose, convinti che sceglierà da sé la via della ragione. È vero tutto il contrario, dice Rosmini.
L’uomo ha in sé una scintilla del divino, ma solo il Cristianesimo «addita e chiaramente rivela all’uomo quell’ultimo fine, al quale deve rivolgere tutto se stesso, e senza il quale egli non può che vagare in un inestricabile labirinto senza luce, né filo». Questo fine è Dio, «principio ordinatore di tutte le altre cose», che «devono ricevere l’ordinamento da lui»: alla realtà di quest’ordine l’uomo deve conformare il proprio spirito e non pretendere di plasmare le cose secondo le proprie fantasie, capricci e desideri.
Ma, poiché nasce inclinato al male per gli effetti del peccato originale, ciò diviene possibile per lui solo «nell’ordine nuovo della grazia, cioè incorporati a Gesù Cristo». Perciò «la conoscenza e l’amore di Dio si introducono come essenziali e necessari e quelli delle altre cose come accidentali». Tutte le scienze saranno orientate «per andarsene a Dio» e per «giovare ai bisogni degli altri». E i mezzi saranno: amore alla verità, rispetto dell’intima libertà dell’alunno, metodo proporzionato allo sviluppo psicologico dell’alunno, armonia di tutte le facoltà umane, proprietà nell’espressione linguistica, costante riferimento delle singole scienze al loro oggetto fondamentale e loro integrazione in rapporto al fine ultimo della educazione.