Il dibattito al Senato e alla Camera sulle comunicazioni della premier Meloni circa la sua partecipazione al Consiglio Europeo ha offerto lo spettacolo desolante di una classe politica che su un tema in questo momento delicatissimo come la politica estera ed europea non sa uscire dalle piccole lotte di fazione.
Giorgia Meloni ha fatto un discorso che potrebbe essere sintetizzato con l’immagine di chi fa surf sui cavalloni: ha cercato di affermare con piglio aggressivo alcune verità banali (non ha senso rompere con gli USA, bisogna dare il modo all’Europa di avere una attività di difesa, ma non significa voler fare guerre), ma ha evitato di mettere in riga la sua maggioranza, cioè la Lega. L’opposizione ha mostrato di essere fatta di partiti interessati più che ad accreditare la loro credibilità come forze alternative di governo, a cavalcare i sondaggi (che, ricordiamolo, sono rilevazioni momentanee di un’opinione pubblica volubile) nella speranza di ottenere in contemporanea qualche voto in più da rosicchiare agli avversari e qualche spazietto in più nella commediola dei talk show e telegiornali.
Sembra impossibile che la nostra classe politica non si renda conto, salvo qualche eccezione che pure per fortuna esiste, della delicatezza del momento, non fosse altro perché il confronto parlamentare si è svolto in contemporanea con la ripresa della guerra israeliana a Gaza e con il mezzo flop del colloquio Trump-Putin sull’Ucraina. Il Consiglio Europeo del 20-21 marzo si svolgerà avendo sul tavolo questi due elementi come centrali per il confronto fra i 27 partner. La UE, che in questo momento vede in qualche modo aggregarsi la Gran Bretagna, e forse al seguito anche il Canada, deve decidere come agire in vista di un futuro piuttosto complicato da decifrare.
La questione della scelta di una politica di riarmo in vista di possibili complicazioni future non può essere ridotta ad una astratta alternativa fra pace e guerra, perché per entrambi i termini bisognerebbe specificare cosa si intende per ciascuno e come si pensa di affrontarli. Le tensioni fra i 27 membri dell’Unione non sono poche, ma al momento va tenuto presente che il gioco è guidato da un asse franco-tedesco in fase di ricostruzione dopo l’avvento di un nuovo equilibrio politico a Berlino e che la Gran Bretagna si è associata con un ruolo pesante sia per le sue capacità militari che per quelle diplomatiche (che includono buoni canali con Washington, forti di una tradizione che Giorgia Meloni non ha a disposizione).
Per l’Italia proporsi per la parte del più saggio e/o più furbo che si mette al di sopra delle parti optando per un nuovo tipo di neutralismo (verbale più che concreto) non sembra una buona scelta. Restiamo un paese con molte debolezze, innanzitutto per via del nostro debito pubblico, ma anche per un sistema economico in cui le esportazioni hanno un ruolo niente affatto secondario. Se alcuni partner europei ci voltassero le spalle, per non dire ci boicottassero avremmo grosse difficoltà: sia in tempi brevi, ma più ancora in tempi medi quando sulle nostre finanze peserà il rimborso dei fondi acquisiti col Recovery EU (solo una parte di quei soldi sono un regalo, il resto è prestito sia pure a tassi agevolati). Non si dimentichi che l’Italia paga già un prezzo spropositato per i finanziamenti al suo debito pubblico e che questi tassi di interesse sono in parte dovuti ad una percepita mancanza di credibilità a livello politico.
A fronte di tutto questo i partiti, come abbiamo già detto, continuano a ragionare come fazioni in lotta perenne. L’inconsistenza di Salvini & Co. come attori di politica estera è sotto gli occhi di tutti, ma che dire di Conte e Schlein? Il primo è sempre più un demagogo che punta solo a tenere insieme gli elettori che gli sono rimasti (e non sono pochi) con la demagogia del no alla guerra (che non c’è e che tutti vorrebbero evitare potesse esserci) e sì ad una generica spesa sociale allargata che è declinata solo per slogan (e se dovessimo riferirla a quel che ha fatto quando era al governo non ci sarebbe di che gioire). La seconda è imprigionata nel gorgo di un alternativismo movimentista che ha fatto il suo tempo e che ora viene usato solo per consolidare il potere di un gruppo che è riuscito a strappare il partito al piuttosto grigio funzionarismo di chi c’era prima.
Davvero si può pensare che l’Italia possa sedere ai tavoli internazionali con questa immagine che i nostri partner e i nostri avversari conoscono benissimo, perché oggi per sapere quel che sta succedendo da noi non serve neppure avere servizi diplomatici efficienti: basta un buon collegamento a internet e vedi tutto.