“Il fine unico che ci siamo proposti tutti noi che ci siamo uniti nell’Istituto della Carità non è altro che quello di santificarci nella carità, e di offrirci a Gesù Cristo perché egli faccia e si serva di noi come gli piace”. Così dirà Antonio Rosmini ai compagni, ricordando il motivo per cui si era sentito spinto a fondare l’Istituto della Carità. All’inizio pensava di dover aiutare l’amica Maddalena di Canossa, istituendo il ramo maschile delle Figlie della Carità. Ma nel 1827, a Milano, l’incontro con il prete francese G. B. Lowenbruck gli rende tutto chiaro: Dio lo vuole iniziatore di una congregazione nuova, destinata a occuparsi della Carità di Dio e del prossimo senza limitazioni.
I due amici si danno appuntamento per il 20 febbraio 1828, mercoledì delle Ceneri, sul Sacro Monte Calvario, collina sopra Domodossola, dove c’è un piccolo santuario con una casetta. Rosmini, giunto puntuale, – il compagno arriverà solo più tardi – , resterà lassù in una stanzetta (cella) fredda e spoglia, con il segretario e l’aiutante venuti con lui dal Trentino, fino a novembre, dividendo le sue giornate fra studio, digiuno, preghiera, silenzio e lettere ai lontani.
Gli amici gli scrivono, preoccupati che sia diventato matto. È passato dal palazzo nobiliare di Rovereto allo squallore di quelle mura, gettandosi in un progetto fumoso e incerto. Ma Rosmini li rassicura: ha solo deciso di costruire «prima il fondamento e poi l’edificio, prima la carità e poi la scienza». Su fogli di colore azzurrino stende le Costituzioni della Società che prende il nome dalla Carità, in cui condensa regole e indicazioni spirituali raccolte tra gli scritti dei santi fondatori di ordini religiosi.
L’Istituto, composto da sacerdoti e da laici, potrà aggregare a sé tutti coloro che ne desidereranno condividere lo spirito e i mezzi: gli ascritti. Il suo fine sarà la semplice disposizione a cercare la propria santificazione attraverso l’amore di Dio e del prossimo, e poggerà su due principi: passività verso Dio e indifferenza per le circostanze. Aspettare che sia Dio a ispirare modi e tempi di agire e non preferire luoghi, persone o circostanze determinate purché si faccia la volontà di Dio. Alcuni di questi principi, li condensa nelle Massime di perfezione adatte a tutti i cristiani, che stamperà due anni dopo.
Presto arrivano i primi nuovi fratelli, attirati da Rosmini e dalla spiritualità che propone. Messe, meditazioni, confessioni, catechismo, conversioni di protestanti… In questo fervore spirituale, Rosmini indica ai compagni il maestoso Crocifisso dell’altar maggiore e sceglie come simbolo dell’Istituto il pellicano che alimenta col proprio sangue i suoi piccoli. «L’amore vero è amore di sangue», dice, «Amore e sacrificio sono indisgiungibili ». Il Calvario diventerà il cuore e la sorgente della spiritualità di padri, suore e ascritti rosminiani, che si ritrovano accanto alla cella del loro Padre Fondatore ogni 20 febbraio per celebrare la festa della Cella, a ricordo del giorno in cui fu piantato un piccolo seme destinato a fruttificare ancora dopo duecento anni.