Francesco Borzaga, la difesa civica della natura

Francesco Borzaga durante una gita al Lago Serodoli

Lo spunto

Poche persone, nella loro vita, hanno speso tante energie e tanta passione per proteggere la natura del loro territorio dagli assalti di imprenditori e politici che subordinavano gli interessi generali agli interessi particolari, come Francesco Borzaga. Questa visione generale non trascurava certo i dettagli, specie quelli in grado di svelare i reali obiettivi di un’iniziativa o di trasformarsi in solidi argomenti oppositivi in sede giudiziaria. Ricordiamo alcuni dei suoi interventi: la salvaguardia della val di Genova, del bacino di Tovel, del Parco Nazionale dello Stelvio, la promozione dei Parchi Naturali, di oasi naturalistiche, l’istituzione dell’Oasi naturalistica-didattica di Valtrigona. Il suo impulso ha animato la vita dell’associazionismo trentino in forma diretta, nelle associazioni che ha contribuito a fondare e in cui ha riversato lungamente le sue energie. E indirettamente, come modello d’impegno, come prassi esemplare, per tutte le altre.

Il Consiglio direttivo di Italia Nostra

 

Francesco Borzaga, morto la scorsa settimana a 90 anni, non è stato solo il pioniere dell’ambientalismo nel Trentino nella seconda metà del Novecento, fra i fondatori di “Italia nostra” e promotore-presidente del Wwf, oltre che autore di centinaia di lettere e interventi per difendere ambienti di natura e di storia da speculazioni distruttive, ma è stato innanzitutto l’interprete più autentico di una visione nobile e armoniosa del territorio, guardando con lungimiranza a un patrimonio da custodire per il futuro (le generazioni giovani!).

Il suo protezionismo era esistenziale, non astratto e ideologico, mirava all’intensità del vivere, innanzitutto per chi lo abitava. Per questo Borzaga si impegnava affinché la natura, i borghi, i paesaggi non venissero ridotti ad anelli di una catena di montaggio consumistica che, nell’”overtourism” trova oggi il suo compimento. Inevitabile appare allora la reazione di rigetto da parte dei visitatori che se ne vanno delusi da località appiattite sulla banalità, ma anche dei residenti che nelle valli più massificate dal turismo meccanizzato non solo scrivono “go home” sui muri, ma vedono i loro giovani rifiutare il lavoro dei padri ed andarsene altrove.

Ad animare l’impegno “ambientalista” di Francesco Borzaga c’era questa visione lucida, più che “romantica” del territorio, forte della consapevolezza (assieme ad altri che gli furono amici e compagni nelle sue battaglie, come il prof. Franco Pedrotti e il giornalista Aldo Gorfer) che il paesaggio trentino, nella sua stratificazione di natura e di lavoro, nel suo ruolo particolare di cerniera fra mondo mediterraneo e alpino racchiude un doppio patrimonio, di bellezza- ricchezza e di identità storico-civile, in un connubio inestricabile che non può essere spezzato, se non al costo di distruggerlo. Ecco perché la figura di Francesco Borzaga non può essere ridotta al solo “protezionismo”, ma rivela una profonda vocazione civica nella sua testimonianza in difesa della natura, della montagna e della libertà che essa consente e che egli ricercava (e trovava) quando la percorreva nelle sue escursioni, a piedi o con gli sci nei boschi, sempre accompagnato da un binocolo per l’osservazione del volo degli uccelli e degli animali lontani.
Non erano grandi imprese, le sue, ma immersioni mentali e fisiche nel paesaggio, alla ricerca dell’essenzialità. Nella semplicità che si moltiplica poi in molteplicità di suggestioni e opportunità se la montagna viene rispettata. In questo la cultura ambientalista di Francesco Borzaga era sostenuta da robuste prospettive giuridiche ed economiche, nella consapevolezza che il grande valore aggiunto della montagna e dei suoi insediamenti sta nella “diversità” data dalla sua natura e dalla libertà, pur nella fatica che essa richiede nel viverla. Ma una montagna che si appiattisce su una meccanizzazione urbanizzata si riduce a periferia, diventa marginale, attrae solo come momentanea evasione.

L’orgoglio per il proprio paese, il sentirsi “commontanari”, come scriveva don Guetti e come si sentiva anche Borzaga, è la premessa anche per assicurarne uno sviluppo economico, per far sì che i residenti, una volta dotati dei necessari servizi, non se ne vadano. A spopolarsi infatti non sono più tanto i paesi poveri, ma sono i paesi “ricchi”, con alta intensità turistica, e ad andarsene sono spesso i figli di chi ha un albergo, e lo vende, o di chi ha un commercio o una professione e la lascia, perché il paese ha perso l’anima, e la montagna non è più un luogo di vita, ma uno scenario mediatico, un “set” per intrattenimenti e spettacoli.

Contro questo degrado, Francesco Borzaga ha combattuto un’intera vita, sostenuto da un carattere generoso nell’amicizia, rigoroso nei comportamenti, spesso intransigente, a volte non facile. Un carattere “asburgico” si potrebbe dire, e infatti i suoi riferimenti culturali erano in primo luogo tedeschi, l’“imperativo categorico” kantiano come bussola. Amava e studiava la lingua tedesca, tanto da diventarne docente nelle scuole. Volentieri viaggiava nelle riserve naturali del Burgenland austriaco, ai confini dell’Ungheria, per osservare la migrazione degli uccelli, o al Parco dell’Engadina, che avrebbe voluto vedere unito a quello dello Stelvio. Amava il rigore tedesco più della cultura anglosassone, Borzaga, anche se il motto che più meritava gli venisse attribuito era sicuramente quello dello scrittore americano Thoreau, “Simplify, simplify”, che vuol dire “semplificare, semplificare”. Era quello il segreto che sapeva condividere con gli amici nelle gite nei boschi, seduti sulla panca di una baita, a
mangiare un panino, con la schiena appoggiata alle travi riscaldate dal sole, o con i suoi concittadini, tanto da essere fra i primi ad usare la bicicletta per muoversi in città, spingendo sui semplici pedali, senza far rumore. Così lo ricorderemo.

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