L’uomo che resta, l’ultimo romanzo di Marco Niro si presenta a Lavis

Nel precedente romanzo, “Il predatore”, forse si può rinvenire, in nuce, quanto poi trova svolgimento, con ampiezza, ne “L’uomo che resta” (Les Flaneurs Edizioni), da poco in libreria. D’altronde, il giornalista Marco Niro, origini cremonesi ma di casa ormai in Trentino, a Brentonico, si occupa di comunicazione ambientale. E dell’attualità ragiona e approfondisce, in forma letteraria. Indizio ne sia una dichiarazione a proposito de “Il predatore”, che aveva al centro gli orsi, tema sensibile più che mai, una scusa per dire altro. “Il rapporto distorto che è venuto a crearsi tra uomo e fauna selvatica – rifletteva – mi è parso l’elemento più emblematico se si vuole capire la realtà”. Appunto. Perché la realtà di cui scrive ne “L’uomo che resta” è quella, distorta anch’essa, della questione ambientale, del cambiamento climatico causato dal genere umano che, pur intriso di straordinaria intelligenza e raffinatezza è, allo stesso tempo, maestro nella capacità di autodistruzione o comunque di fare meno di quanto si dovrebbe concretizzare per impedire che la Terra un giorno o l’altro si trasformi in una palla di fuoco rendendo la vita pressoché impossibile. Ipotesi non certo campata in aria stando a sentire gli scienziati più avvertiti.

Le tre storie, intrecciate, che scorrono nelle oltre 300 pagine de “L’uomo che resta”, ambientate nella preistoria, in una contemporaneità che si sta dissolvendo e in un futuro che riporta gli umani all’età della pietra visto il disastro precedente, tracciano un percorso circolare. A cavallo tra romanzo distopico e fantascienza, ma neanche tanto, Niro disegna una parabola, un percorso in cui tutte le contraddizioni dell’homo sapiens vengono messe in risalto, dalla sua genialità e intelligenza a quell’istinto, consapevole o meno che sia, da cupio dissolvi. Frutto, il romanzo, anche, come l’autore specifica in appendice, di una notevole documentazione scientifico-letteraria che, in alcuni passaggi, tende però a portare la narrazione su un versante per così dire “pedagogico”, dandogli meno respiro. ““L’uomo che resta” ha l’ambizione – sottolinea Niro – di riflettere l’intera storia umana e andare anche oltre, usando come filo rosso la relazione tra uomo e cambiamento climatico”. Chi sia “l’uomo che resta” lo scrittore lo mette in bocca ad uno dei protagonisti del romanzo: “L’uomo che resta nel senso di uomo che decide di rimanere dov’è, saldo di fronte alle sue responsabilità, senza fuggire. L’uomo che resta nel senso più profondo: quel che resta di umano, cioè di armonioso, sensibile e fraterno, quando niente, intorno, lo è più”. Come Bruno Respighi, l’archeologo intorno a cui ruota il racconto, autore di un libro che lascerà ai posteri, “Sapiens. Ascesa e caduta”. Oppure, sintetizzando sempre di più, raccogliendo riflessioni e considerazioni presenti in questo romanzo, l’uomo che resta è colui che sa ancora raccontare e ha il senso del limite. Niro presenterà “L’uomo che resta” venerdì 21 marzo, alle ore 20,30 nella Biblioteca di Lavis dialogando con Massimiliano Pilati, presidente del Forum trentino per la pace.

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