La paura e il terrore della guerra, il dolore della perdita, di una donna, di un figlio mai nato, di un mondo. La necessità di andarsene lontano, per poi ritornare nonostante le ferite facciano fatica a chiudersi. “Mio adorato Milan”, pubblicato da Affiori (marchio di Giulio Perrone Editore) è il romanzo (breve) d’esordio della giornalista Elena Esposto, nata a Rovereto, residente in Lombardia da tempo, fondatrice del collettivo “Le donne della porta accanto”. Sarà a Rovereto il 19 marzo (Biblioteca civica, ore 18), in dialogo con Marco Abram dell’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, e a Trento il 20 marzo, alla libreria “due punti” in San Martino dove, alle 18, presenterà le poco più di 80 pagine del racconto.
“Vukovar”, la città alla confluenza del fiume Vuka nel Danubio, assediata per 86 giorni dai serbi nel 1991, occupata per sette anni prima di ritornare croata, circa 4000 civili morti 261 dei quali, fra feriti e medici dell’ospedale, trucidati con un colpo alla nuca e sepolti in una discarica d’immondizia nel corso di uno dei conflitti che hanno disintegrato la Jugoslavia. Vukovar, la Srebrenica croata. L’orrore. “Mio adorato Milan” ha le sue radici lì, in quella città dell’est della Croazia, ma si svolge anni dopo, sull’isola di Iz (Eso) al largo di Zara dove si ritrovano due amici che tornano indietro nel tempo, rivivono il passato. Uno di questi è Milan, il protagonista, la cui moglie, in attesa di un figlio, era a Vukovar durante l’assedio mentre lui stava a Sarajevo. Di quella donna non saprà più nulla. Sull’isola, in fuga, vivrà una nuova vita, da profugo, altre separazioni, prima di andarsene. E ritornare anni dopo. E’ un racconto che procede per balzi “Mio adorato Milan”, avanti e indietro nel tempo, un romanzo attraversato dal dolore e da una sofferenza profonda, dalla disgregazione di un Paese e che, a un certo punto, chiudendo il cerchio, diventa epistolare, un lungo addio. E’ una sensibilità acuta quella che guida nella scrittura Elena Esposto, maturata da piccola. Racconta che, quando era bambina, anche a Rovereto, a scuola, arrivavano i profughi jugoslavi che scappavano dal conflitto. E raccontavano. Ricorda che all’università un amico croato gli parlò di Vukovar, di cui nulla sapeva. La sua curiosità l’ha portata nella città croata e sull’isola. “Mio adorato Milan” è uno sprofondo in un cuore di tenebra dove la speranza pare essere un termine improponibile. Eppure, forse, non è proprio così impossibile. Lasciamo al lettore scoprirlo. Arrivando alla conclusione: “Vukovar è un po’ croata, un po’ serba e un po’ ungherese, ma allo stesso tempo non è nessuna di queste cose. Vukovar è di tutti ma di nessuno in particolare. Mi piace pensare che anche noi abbiamo contribuito a ripulire e a fare ordine. Che anche noi abbiamo aiutato a spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare alla fine un carico di vita”.