Lo svolgimento della guerra russo-ucraina ha messo l’Europa di fronte ad un bivio: costretta da Trump a provare a fare da sola, se vuol mantenere un ruolo e una presenza internazionale, deve misurarsi con il tema della capacità di difesa. In un mondo che sembra marciare verso il ristabilimento dei confronti imperiali si deve scegliere se poter essere soggetti autonomi inseriti in quelle dinamiche o accettare di diventare vassalli di uno degli imperi.
La scelta è da più di un punto di vista sconvolgente in senso tecnico, perché sconvolge il quadro che si era in qualche modo stabilizzato nell’ultimo trentennio: non più l’equilibrio di un multipolarismo che, dopo il crollo dell’URSS, lasciava spazio ad una pluralità di “poli” senza che ciò comportasse conflitti di espansione (salvo qualche instabilità in aree circoscritte), ma ora un ritorno alla sfida per ristabilire quelle che nella guerra fredda venivano definite le sfere di influenza.
In questo contesto l’Europa cessa di godere del ruolo privilegiato di area che si è potuta concentrare sulla sfera economico-sociale (peraltro da tempo in difficoltà, talora in vera crisi) astraendosi dalla politica internazionale che viene lasciata ai singoli stati, per lo più come una specie di status symbol esibito da classi dirigenti in decadenza. Viene pertanto obbligata a prendere atto del bivio che abbiamo rappresentato all’inizio: se vuole mantenersi come un soggetto autonomo deve trovare il modo di federarsi in qualche modo, oppure ogni stato dovrà adattarsi ad essere un vassallo più o meno importante di uno o più imperi.
È amaro dover rinunciare alla prospettiva della prosecuzione di un’era di pace nella stasi delle grandi tensioni, ma è realistico ragionare su come confrontarsi con essa. Non significa buttarsi ad accettare il ritorno di bellicismi fuori tempo, ma accettare che l’equilibrio della pace si manterrà rendendo quanto più possibile rischioso agli imperialismi il proseguire nelle nuove logiche espansive. Questo e non altro significa riconsiderare il problema di un’Europa che, rafforzando la sua coesione, si doti di una “forza armata” che si affianchi alla sua forza economico-sociale e alla sua grande tradizione culturale.
Comprendere la svolta genera tensioni nelle società perché, come è sempre stato, non è facile accettare l’uscita da un mondo di pur relativa quiete. Peraltro sono decenni che si avverte il cambiamento dei tempi anche a livello di equilibri sociali, con sistemi che accentuano diseguaglianze, egoismi, fughe negli individualismi esasperati. Non meraviglia che ovunque ci siano reazioni a questo mutare sempre più evidente del quadro generale di riferimento: lo sviluppo dei movimenti estremisti, sulla destra come sulla sinistra, ne sono un segnale evidente. Che poi non manchino politici che si facciano portatori di queste inquietudini rientra nella dinamica dei tempi di crisi: alcuni, pochi, lo fanno magari ispirati dalla buona fede, altri, molti di più, spinti dal fiuto per il successo facile.
Quanto succede nelle istituzioni europee in questi giorni è emblematico della svolta in corso. Anche una figura non esattamente carismatica come Ursula von der Leyen si è assunta l’onere di richiamare la “storicità” del momento, non a caso citando anche un discorso di De Gasperi. Consapevole degli umori e delle tensioni che interessano le opinioni pubbliche dei diversi paesi, ha affrontato il passaggio innanzitutto nella sede del Consiglio Europeo, cioè con i capi di stato, dove è riuscita quasi miracolosamente ad ottenere una decisione unanime per l’avvio di un progetto di costruzione di una “forza” europea da mettere in campo nella attuale crisi internazionale.
Non si è trattato di un passaggio facile. I populismi si sono scatenati, da quelli beceri come i Cinque Stelle guidati da un ineffabile Conte, a quelli più arzigogolati come la sinistra PD ancorata ad una visione ideologica che ha fatto il suo tempo. Parliamo dell’Italia, dove anche a destra la demagogia non manca, col solito Salvini che dichiara a dritta e a manca di voler salvare il futuro dei nostri figli accodandosi al vassallaggio imperiale verso Trump e Putin.
Vedremo come si evolve la situazione, che, è sempre bene ricordarlo, è tuttora in grande movimento sicché sarebbe bene evitare di fare proclami e previsioni. Resta il fatto che la storia valuterà come ciascuno si è schierato in questo momento che per molti versi potrebbe essere in senso tecnico fatale (anche se il termine non ci piace perché fu usato a sproposito da Mussolini per portarci al disastro).