Col paziente Francesco nel deserto del “Gemelli”

Cinquantatré volontari dal Trentino al Giubileo di Roma

Più ancora dei bollettini medici è stato il messaggio audio di papa Francesco ai fedeli in piazza San Pietro (che forza quella flebile voce!) a testimoniarci come egli vive da un mese al “Gemelli” come paziente dal quadro clinico “non più critico, ma sempre complesso”. Trenta giorni ormai, una Quaresima inedita, per lui e per noi. Si può fare deserto al settimo piano di un policlinico se per deserto intendiamo non il luogo della solitudine e della tentazione, ma l’ambiente in cui si può fare intensa esperienza di vita cristiana. Certo, come un anziano “dipendente” da chi lo sposta in carrozzina e come l’ammalato che consuma le interminabili ore della notte con la maschera dell’ossigeno sul naso e sulla bocca, Francesco sperimenta in queste settimane un ulteriore livello della sua fragilità: più limitazioni, più incertezza sull’efficacia delle terapie, meno riservatezza rispetto ai movimenti liberi nell’abitazione in “Santa Marta”, meno autonomia – probabilmente – anche nelle scelte più desiderabili.

Ma il deserto che papa Francesco attraversa è quello fertile dell’intensità spirituale, grazie ad una preghiera dilatata nei tempi, l’Eucaristia quotidiana (anche se condivisa con un’assemblea ristretta a pochi assistenti) e l’opportunità di seguire a distanza gli esercizi spirituali della Curia.

Il Santo Padre – recitano i bollettini – si è dedicato alla lettura dei quotidiani…”, quindi, non è isolato, resta sempre vicino ai drammi dei fratelli nel mondo. Lo testimonia nella telefonata giornaliera al parroco di Gaza, nelle informazioni che chiede ai suoi collaboratori in visita, nei puntuali riferimenti alle nuove guerre nei testi predisposti per l’Angelus domenicale. Il suo cuore è lì: dalla Siria in ebollizione agli ultimi disastri ambientali, dalla Terra Santa alla “martoriata Ucraina”, fino alle tensioni sofferte dei Paesi europei messi in crisi dalle clamorose mosse di Trump.

Non è isolato e nemmeno solo. Il Papa avverte l’affetto dei credenti nel mondo e probabilmente segue con uno sguardo diverso anche molte iniziative che proseguono nonostante la sua assenza. Un’esperienza che vale anche per ognuno di noi, quando si fa fronte al vuoto della temporanea mancanza di un familiare. Oppure quando una parrocchia si trova improvvisamente per un certo periodo senza il suo pastore: se ne riscoprono le funzioni e il carisma, ma insieme ci si organizza per garantire la vitalità della comunità, attingendo a risorse nuove, prima impensate.

Lo hanno constatato anche i nostri volontari scesi a Roma lo scorso fine settimana per il loro Giubileo: anche “in assenza di pontefice” la celebrazione ecclesiale è stata vibrante e gioiosa, perché la Chiesa rimane nel suo mistero principalmente popolo di Dio, collegialità, corresponsabilità. Anzi, chissà che quest’avvio di Anno Santo con il Papa convalescente ci aiuti a evidenziare la partecipazione del popolo di Dio, che non è certo supplenza della gerarchia, ma prova di sinodalità.

“Francesco appare di buon umore…”. Nel deserto della Quaresima non c’è spazio per un dolorismo masochista, tanto meno per la tristezza. Il Papa della Evangelii Gaudium affronta la malattia con lo spirito sereno di chi si affida al Padre e a quel “miracolo della tenerezza” – come ha scritto domenica 9 marzo – che sanno offrire quanti si prendono cura dei degenti.

A 12 anni esatti dall’elezione, assicurare a Francesco la nostra vicinanza in questa strana Quaresima è pure lasciarci educare da questi suoi atteggiamenti, tanto umani quanto evangelici.

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