L’AquilaBasket non finisce mai di stupire. Sul campo, dove è arrivato il primo trofeo della sua giovane storia, e fuori. Nella settimana dei trionfi e delle celebrazioni (per ora istituzionali, quella dedicata ai tifosi sarà al PalaTrento, sabato 1° marzo prima della partita contro Tortona), ci colpisce positivamente uno dei concetti che il presidente Luigi Longhi ha ribadito anche nella lunga intervista che i lettori trovano nello Sport a pagina 29 sul nostro settimanale.
Quel “non gioco a Trento ma vivo a Trento” che viene insegnato ad ogni atleta che entra a far parte della grande famiglia di Aquila Basket, dal giocatore più esperto, al ragazzino che arriva in foresteria del settore giovanile, non è soltanto un motto o un semplice gioco lessicale. È, invece, uno dei cardini che ha permesso alla Dolomiti Energia di diventare un punto di riferimento per la pallacanestro nazionale. Partendo da un concetto semplice, ma che spesso e volentieri si dimentica: dietro al professionista c’è un uomo che ha scelto di trasferirsi in un nuovo palazzetto, ma prima di tutto in una nuova città.
Certo, iniziare a conoscere quel microcosmo di relazioni, di persone, di storie e di Storia che sta dietro a una casacca richiede un surplus di impegno e di energie, ma questo stare vicini alla gente alla fine finisce inevitabilmente per …avvicinare anche la gente. Nel caso di Aquila Basket, a un mondo che fino a una quindicina di anni fa diceva ben poco ai trentini.
Grandi o piccole, le comunità che germogliano grazie allo sport sono sempre e comunque imprescindibili: per un club di livello europeo come quello trentino, ma anche per tutte quelle società che con coraggio, ogni settimana, trovano spunti, idee e risorse per restare in vita, permettendo a tanti ragazze e ragazzi di mantenersi attivi e crescere in ambienti sani.
Che bella “lezione” quel “vivo e non solo gioco” per tanti nostri giovani che tendono a dare un po’ tutto per scontato: “vivere” è ringraziare il custode del campo o della palestra per gli spogliatoi puliti, dare una pacca sulle spalle al dirigente che con pazienza porta il thé, è ricordarsi di chi lava le magliette sudate. “Vivere” è sentirsi parte di una famiglia e fare la propria, piccola parte, per migliorarla.
Il professionista, è vero, è pagato per esibirsi davanti a migliaia di persone, è il suo lavoro, ma nel suo piccolo anche il mediocre atleta delle serie minori può essere un esempio positivo, per tanti: anche se solo per qualche genitore o un tenace manipolo di bambini e bambine delle giovanili, è tantissimo. Così anche un campo o la palestra di paese, al pari di un palazzetto, possono diventare luoghi di incontro, confronto, conoscenza ed educazione.
Dove si gioca, dove si vive.