Simone Cristicchi, a Sanremo una ninna nanna alla mamma

Immagine Rai

“Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei, Ti starò vicino come non ho fatto mai. Rallenteremo il passo se camminerò veloce, parlerò al posto tuo se ti si ferma la voce”. Già, restare accanto ai genitori quando sono o saranno fragili o confusi, non è una promessa scontata, né leggera. Da figlie e figli diventiamo per loro padri e madri, chiamati a restituire tempo e attenzioni.

“Per restituirti tutto quell’amore che mi hai dato / E sorridere del tempo che non sembra mai passato. Quando sarai piccola mi insegnerai davvero chi sono, A capire che tuo figlio è diventato un uomo”. È un risarcimento, quello dei figli. Una parziale restituzione perché finalmente comprendiamo di avere ricevuto molto. E le intense esperienze vissute ieri insieme a loro si ripresentano oggi. Così ci si scopre finalmente adulti.

“Se ti chiederai il perché di quell’anello al dito/ Ti dirò di mio padre ovvero tuo marito. Ti insegnerò a stare in piedi da sola, a ritrovare la strada di casa. Ti ripeterò il mio nome mille volte perché tanto te lo scorderai”. Davvero, quanto amore paziente possiamo ricambiare! Quando le domande si fanno ripetitive sulla bocca degli anziani, la memoria s’inceppa e perdono gli oggetti, i luoghi delle foto, le date di famiglia, perfino i soprannomi, l’identità più cara. Eppure…

“Ci sono cose che non puoi cancellare,/Ci sono abbracci che non devi sprecare./Ci sono sguardi pieni di silenzio/ Che non sai descrivere con le parole”. Nella relazione con i genitori gracili o annebbiati, c’è ancora molto che “tiene”. Alcuni legami vanno oltre il tempo, oltre la comunicazione verbale. Ecco il linguaggio di una carezza o di un contatto fisico, gli occhi che dialogano mentre la bocca resta muta. Vale per i parenti, ma anche per gli amici anziani, gli ospiti in fondo al corridoio della Rsa.

“C’è quella rabbia di vederti cambiare/ E la fatica di doverlo accettare. Ci sono pagine di vita, pezzi di memoria/ Che non so dimenticare”. Certo, l’accettazione richiede i suoi tempi, forse non sarà mai completa. È difficile la fase dell’insorgere della malattia, la sua inesorabilità, il suo bersaglio: perché proprio a lui o a lei, le persone a me più care? E perché proprio adesso?

“Eeee… è ancora un altro giorno insieme a te. Per restituirti tutta questa vita che mi hai dato/ E sorridere del tempo e di come ci ha cambiato”. Da questo ritornello arriva la svolta. È la consolazione di potersi ancora stringere l’un l’altro, garantirsi una presenza, anche solo il profumo. Una reciprocità sempre arricchente, perfino in silenzio. Si sa di avere ancora del tempo davanti, l’uno al fianco dell’altro. Un tempo che sarà diverso sì, ma che ci riserva ancora qualcosa.

“Quando sarai piccola ti stringerò talmente forte/ Che non avrai paura nemmeno della morte/ Tu mi darai la tua mano, io un bacio sulla fronte/ Adesso è tardi, fai la brava”. La promessa, invocata, trova compimento. Anche la speranza di un finale passaggio insieme – e non sarà l’ultimo, per chi crede nella vita eterna – è sigillata dalle labbra del figlio (o della figlia) che si chinano sul capo. E dall’ultima raccomandazione, prima del riposo.

A concludere il suo poetico dialogo con la madre Luciana (colpita a 63 anni da emorragia cerebrale e rimasta poi gravemente invalida), Simone Cristicchi ha aggiunto martedì sera sul palco di Sanremo anche uno spontaneo “buona notte”. Ci piace considerare questa sua canzone come una ninna nanna, nella culla dell’amore.

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