Ogni tanto ci capita di vedere presentate come strane domande che in realtà avrebbero risposte semplici. Prendete il caso della ministra Santanché. Personaggio non certo di gran peso, coinvolta in due vicende giudiziarie che non gettano su di lei una luce positiva (se è innocente o colpevole, ovviamente lo decideranno i giudici), non si dimette aiutando il governo, ma al tempo stesso non viene costretta a farlo dalla sua maggioranza, che però si guarda bene dal difenderla. Molti allora a chiedersi quale oscura possibilità di ricattare abbia la ministra per comportarsi così lei e per ottenere una distaccata tolleranza dai suoi.
Ci permettiamo di notare che in realtà la faccenda ha una spiegazione semplice: siamo in un contesto in cui nelle parti contrapposte non si vogliono concedere vantaggi all’avversario, neppure quelli che non inciderebbero per nulla sul quadro complessivo. Siccome l’opposizione attuale chiede le dimissioni di Santanché ed ha presentato mozione individuale di sfiducia, il governo non vuole concederle una vittoria, più o meno come si è fatto in passato anche a parti invertite. In altri casi si è sciolto il problema con le dimissioni dell’interessato, ma ciò richiederebbe un certo senso della responsabilità pubblica che qui evidentemente non c’è, e la ministra, sapendo che nel clima di non concedere nulla all’avversario la maggioranza non può sottoscrivere l’iniziativa dell’opposizione, ne approfitta. Tutto qui.
Certo non è una bella politica, ma è quanto continuiamo a registrare sia pure in svariati modi diversamente colorati. Le opposizioni, o meglio un buon numero di suoi esponenti più o meno esagitati, accusano il governo di creare polveroni per coprire i suoi fallimenti, ma altrettanto si potrebbe dire notando che con le loro accuse esse ne creano a loro volta per mascherare una povertà di capacità propositive (gli slogan non sono proposte, sono piume buttate al vento).
Senza imbarcarci nel solito elenco di grandi questioni, che sono cose serie, ma che si può capire non sono suscettibili di soluzioni a breve, vorremmo soffermarci su due temi sui quali un confronto costruttivo non è impossibile. Il primo è la riforma del sistema giudiziario. Se è vero che la separazione delle carriere non risolve che marginalmente il problema, che la riforma del CSM per rompere il suo potere di camera delle zuffe correntizie qualcosa può migliorare, ma non tutto, c’è da chiedersi perché non si affrontino i nodi sul tappeto. Marta Cartabia ci aveva provato e andrebbe riconosciuto che la magistratura organizzata non è stata per nulla né contenta, né poi collaborativa. Adesso sembra che il nuovo presidente dell’ANM faccia qualche apertura, ma si vede già che ha il comprensibile timore di essere subito sfiduciato dalla sua base portata irresponsabilmente sulle barricate. La premier vuol mostrarsi aperta al dialogo, ma a sua volta ha paura delle reazioni che possono venire dalle fila della sua maggioranza dove i pasdaran non sono certo pochi. Aiuterebbe una spinta mediatrice da parte delle opposizioni, almeno di quelle più responsabili, ma anche lì non si fa nulla per paura delle reazioni dei propri pasdaran. Risultato? Vince la folle corsa alla radicalizzazione di ogni scontro.
Un secondo tema è la questione dell’autonomia regionale differenziata. La Corte Costituzionale è riuscita a rimettere la questione su binari adeguati, ma su quei binari non vuole procedere nessuno. Eppure il tema della sistemazione del regionalismo promosso dalla pasticciata riforma del 2001 è un tema di grande portata. Lasciamo perdere le faccende marginali tipo l’introduzione del terzo mandato per i governatori, che certo è promossa da gruppi di potere che non sono in grado di garantirsi successioni per loro adeguate, ma che è osteggiata da altri gruppi di potere che vogliono solo farsi spazio a gomitate. Abbiamo davanti argomenti ben più pesanti, come la via per rendere responsabili della spesa pubblica molti potentati regionali e come l’esigenza di gestire il flusso dei finanziamenti statali alle regioni in modo che, grazie ad una distribuzione ragionata, possano realmente garantire ai cittadini servizi di pari livello e dignità a prescindere dai territori in cui sono collocati.
Vi risulta un coraggioso dibattito a 360° gradi su questi problemi? Pensare di risolverli a colpi di confronti parlamentari corpo a corpo significa non vedere come sono ridotti Montecitorio e Palazzo Madama. Quando i lettori avranno fra le mani questo articolo vedremo se almeno su una questione cruciale, ma tecnicamente semplice, come l’elezione dei quattro giudizi costituzionali necessari per avere il plenum della Consulta si sarà raggiunta una soluzione. Lo speriamo, perché se una volta di più gli spiriti di parte riuscissero a rimandare ancora una volta questa operazione, sarebbe un ben triste presagio.