L’Italia tra tensioni europee e ingerenze americane

La prima pagina del quotidiano la Repubblica di mercoledì 5 febbraio

Siamo davanti ad un passaggio difficile in Europa. Il vertice informale dei capi di governo lo scorso martedì 4 febbraio è stato una prova difficile, ma per il momento non ha sortito un grande risultato. I corifei del governo, e in specie quelli di Giorgia Meloni, continuano a parlare di posizione centrale dell’Italia come ponte fra la UE e Trump. Le cose sono molto più complicate e per la verità la nostra premier è più cauta rispetto alla narrativa dei suoi adulatori.

Il problema fondamentale è che per essere il cosiddetto ponte fra UE e USA sarebbe necessario che le due sponde fossero almeno un minimo stabili, il che non è. Trump è un giocatore d’azzardo e quindi bisogna sempre stare attenti a considerare le sue mosse come stabili. Si veda la vicenda dei dazi. Minaccia fuoco e fiamme contro Messico e Canada, ma poi sospende le ostilità per quanto momentaneamente. Avviso di lotta senza quartiere all’economia cinese, ma poi tutto si ridimensiona e lui e il premier di Pechino si parleranno (e vorremmo vedere il contrario: la Cina detiene una quota rilevante del debito pubblico americano). Di stabilità nell’ambito europeo non è proprio il caso di parlare.

La Francia è ancora invischiata nella sua instabilità parlamentare e conta relativamente che Macron continui a parlare come fosse una specie di De Gaulle redivivo. La Germania sta aspettando l’esito delle elezioni del prossimo 23 febbraio, Scholz è in difficoltà, il suo competitor Fredrich Merz della CDU è scivolato sulla buccia di banana dei rapporti con l’AfD e ora si rialza cercando di farlo dimenticare. Leadership alternative non ce ne sono. Indubbiamente la Meloni ha una buona posizione per tante ragioni, ma la posizione non è tale da farla accettare: gli altri paesi, vuoi per orgoglio nazionalistico, vuoi per problemi di schieramento delle parti politiche in essi al governo, non vogliono saperne di incoronare la nostra premier a portavoce dell’Europa, né lei può pensare di trovare per questo una sponda in von der Leyen che vorrebbe quel ruolo per sé stessa e non ci riesce.

Per poter sfruttare la contingenza a dispetto di tutto questo, l’Italia dovrebbe avere una coesione interna di cui non gode affatto. Gli altri paesi vedono benissimo come da noi sia in atto una sorta di lotta di tutti contro tutti, che ha il suo apice nello scontro partigiano fra maggioranza e opposizioni, mentre la magistratura si insinua in queste debolezze per difendere i suoi corporativismi.

Nel chiacchiericcio delle propagande il recente caso del generale libico Almasri, noto torturatore, rispedito in patria senza neppure farlo in maniera coperta può essere presentato come la vergogna di un governo che non difende gli oppressi. Nelle classi dirigenti europee, che sanno benissimo come vanno queste cose, viene recepito in modo molto diverso: una inevitabile forma di “realpolitik” come fanno e farebbero tutti i paesi coinvolti nel caos libico; la prova di un governo pasticcione che non sa gestire faccende di quel genere, con la complicazione di una opposizione che non sa neppure lontanamente cosa significhi interesse nazionale sicché mette davanti a tutto i suoi banali interessi elettorali.

In un quadro del genere è facile capire come tutti i partner europei che non hanno nessuna intenzione di vedere un concorrente come l’Italia scalzarli dai loro traballanti troni traggano occasione per tenere quanto meno sulla corda la nostra premier. È illusorio pensare che ci pensi Trump a metterla in posizione chiave. Il presidente americano è un abile giocatore di poker: studia chi sta intorno al tavolo e sfrutta tanto le debolezze, quanto le illusioni di ciascuno. Dunque il nostro paese e in specifico il governo attuale devono guardarsi dall’essere utilizzati finché Trump pensa che gli convenga, per poi scaricarli senza problemi quando riterrà che i suoi interessi abbiano bisogno di altri collaboratori. A complicare la situazione c’è però il fatto che al presidente USA, ma per questo non meno che a Putin, a Xi Jinping, interessa che nei paesi “collaboranti” ci sia scarsa stabilità e che domini la lotta di fazione. Guardare a quanto sta facendo Musk, in Germania, ma non solo, e si capiranno molte cose. E l’Europa non è fuori da queste manovre. Sarà bene che la politica italiana ne tenga il conto dovuto.

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