Le fibrillazioni politiche non toccano il governo

La prima pagina del quotidiano L’identità di martedì 28 gennaio

È un bel rebus la attuale politica italiana. Da un lato è percorsa da fibrillazioni e anche da qualcosa di più serio, dall’altro il governo va avanti sotto la guida ferrea di Giorgia Meloni inscalfibile, almeno per il momento, nel suo protagonismo.

Nell’opposizione i tormentoni sono continui. L’ultimo è se davvero Elly Schlein possa continuare ad essere la guida del futuro assalto elettorale per detronizzare il governo di destra-centro. Nei circoli che contano l’attuale segretaria non è che goda di un gran supporto. Magari si fa finta di essere consapevoli che non è opportuno mettere in discussione il suo ruolo, ma si capisce bene che è un ruolo burocratico di apparato, alla sua capacità di fare davvero “politica” non crede che la stretta cerchia del suo circolo magico, in sostanza persone che quando cadesse lei farebbero la stessa fine. In verità basterebbe avere presente la storia della Schlein per vedere che di politica vera non ne ha mai fatta, perché il suo mondo è quello degli slogan e delle “manifestazioni”. Alcuni si erano illusi di poterla pilotare, o, se preferite una formula più gentile, di farla maturare, ma si stanno ricredendo.

Comprensibilmente i sussulti nell’area del PD e nei gruppi dirigenti del partito si riverberano sugli alleati possibili. A Conte non par vero di poter riguadagnare posizioni come “punto di riferimento indispensabile” (Zingaretti dixit) del progressismo.

Bonelli e Fratoianni sognano di strappare abbastanza voti “di sinistra” al PD da accrescere il peso determinante di AVS.

Intanto sembra aumentare la domanda di una “sede” dove far alloggiare le forze disperse e in parte disamorate del riformismo, sia laico che cattolico: il secondo con l’indubbio vantaggio di poter almeno parzialmente disporre dei luoghi di aggregazione sociale intorno e a latere delle istituzioni religiose (che di loro, ricordiamolo, si tengono lontane dalla politica politicante).

Si potrebbe pensare che in queste condizioni la coalizione di governo sia incentivata a trarre ampi profitti dalle difficoltà dell’opposizione. In realtà questo avviene in minima parte per le difficoltà interne a quella compagine. Se volesse muoversi davvero in quella prospettiva dovrebbe incentivare l’aggiustamento, se non addirittura il ripensamento delle sue coordinate politiche. Se vogliamo dirla nel linguaggio corrente del politichese, puntare a diventare più o meno un grande partito moderato conservatore. Questo però implicherebbe fare i conti con molte contraddizioni interne. Non c’è solo la Lega di Salvini che punta sempre più ad accentuare il suo radicalismo per conservare quel tanto di consenso elettorale e di peso nella coalizione che le consentono di reclamare posti nelle spartizioni ai vari livelli. Lo stesso partito della Meloni non è compatto nella scelta di schierarsi sul fronte del conservatorismo moderato: un po’ perché è comunque consapevole che rischierebbe di perdere quote del suo elettorato tradizionale, un po’ perché il gruppo dirigente, e probabilmente la stessa Meloni non se la sente di fare una specie di “Fiuggi bis”, operazione di cui si celebra quest’anno l’anniversario, ma che poi ha distrutto il suo stratega Gianfranco Fini e non ha portato fortuna al partito.

La premier, che è politicamente molto abile, ha capito che con una opposizione così malridotta non ha bisogno di fare grandi operazioni di contrasto impegnandosi a consolidare una nuova identità per il futuro del Paese. Dovrebbe scontrarsi con i tradizionalismi interni alla destra, elaborare piani che la metterebbero in linea di collisione con vari referenti internazionali, a cominciare da Trump e Musk oggi ancora nel pieno delle esaltazioni post vittoria elettorale. Non è neppure detto che il rilancio di una nuova visione politica la aiuterebbe in Europa. Meglio dunque lasciar perdere quei terreni infidi, in cui si può al più fare un po’ di propaganda per salvare la faccia, e concentrarsi sulla politica estera dove il momento è favorevole per giocare a fare il jolly portando a casa buoni risultati: il che ovviamente fa crescere il suo credito pubblico.

Si può continuare così senza grossi rischi di subire erosioni di potere significative (quanto alla questione di chi vincerà le prossime elezioni si può posporre: se non arrivano sconquassi imprevisti, soprattutto sul piano internazionale, se ne parla fra un paio d’anni).

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