Dall’intervento in Consiglio provinciale del Presidente Maurizio Fugatti sulla manovra finanziaria 2025-2027 emerge un dato di particolare interesse: l’allineamento, anzi il leggero sorpasso, del Trentino sull’Alto Adige in termini di crescita del PIL negli ultimi cinque anni. È una notizia, visto che nel decennio 2008-2018 i cugini altoatesini erano cresciuti quasi il triplo di noi, con un PIL reale aumentato del 15,9% contro il nostro «misero» 5,8%. E negli anni ancora precedenti le cose non andavano meglio: con Bolzano non c’era proprio partita. Quello che si è registrato nel periodo 2018-2023, con il PIL trentino aumentato del 6% contro il 5,1% dell’Alto Adige, è dunque un cambio di passo di tutto rilievo, che sembra confermato anche dalle prime stime per il 2024: Trento + 0,8%, Bolzano + 0,5%.
Intendiamoci: il recupero trentino è limitato, e per ora non in grado di colmare il divario di ricchezza che tutt’oggi ci separa dall’Alto Adige. Quest’ultimo vanta infatti un PIL per abitante di € 56.900 contro gli € 46.100 del Trentino (dato 2022, in pari potere d’acquisto): un distacco netto, che rende però ancor più significativa l’inversione di tendenza dell’ultimo periodo, con cui si dovrebbe fra l’altro consolidare il vantaggio che la nostra provincia vanta a sua volta sul Nordest (€ 40.900) e sull’Italia (€ 34.400).
Sui motivi di questo recupero, il Presidente Fugatti osserva come «l’economia altoatesina risulti fortemente correlata a quella tedesca e quindi come la relativa dinamica risenta della ciclicità di quest’ultima sia nelle fasi espansive che in quelle meno positive». C’è dunque un rallentamento di Bolzano, ma non mancano i meriti del Trentino, rivendicati da Fugatti, fra cui «il grande traino» offerto «dagli interventi in infrastrutture pubbliche, nonché dai contributi provinciali ai privati oltre che dai bonus nazionali».
Uno dei meriti trentini, talora misconosciuto, è l’incidenza della spesa in ricerca e sviluppo (R&S), da sempre molto più alta a Trento che a Bolzano: nel decennio 2012-2021 (ultimo disponibile) le risorse destinate nella nostra provincia a nuove conoscenze e applicazioni hanno raggiunto in media l’1,6% annuo del PIL contro lo 0,7% altoatesino. Nello stesso periodo hanno operato in Trentino in media 7,9 addetti in R&S per ogni mille residenti contro i 4,4 dell’Alto Adige. Specularmente, gli occupati in settori ad alta tecnologia rappresentano oggi il 4,1% del totale a Trento contro l’1,6% di Bolzano (elab. dati ISPAT).
Queste nette differenze potrebbero farci gonfiare il petto, se non dipendessero da un massiccio intervento pubblico, frutto anche di ardite intuizioni dell’autonomia, che rimpiazza la cronica e progressiva carenza di investimenti aziendali in R&S: una nota dolente che accomuna invece le due province ed allarma le parti sociali. Ciò non toglie che una vigorosa azione pubblica che stimola, aiuta, contamina e spinge il sistema locale verso le frontiere dell’innovazione, incubando idee d’impresa, sia un non trascurabile fattore di crescita. Ci incoraggia a crederlo il compianto prof. Francesco Daveri – che vogliamo ricordare come ospite del Festival dell’Economia – che in un libricino del 2012, «Crescere si può» (il Mulino), preconizza la fine della crescita «hard», basata sugli investimenti materiali, quali «autostrade, edilizia e grandi opere», in favore di una crescita «soft», basata sulle idee, sul capitale umano e sulle innovazioni.
E sui temi «soft» il Trentino può davvero dire la sua.