Cari partiti, le riforme sono una cosa seria

La prima pagina del quotidiano Domani di mercoledì 15 gennaio

Avrebbe dovuto essere la settimana che vedeva finalmente il rispetto del dovere del parlamento di nominare i quattro giudici mancanti della Consulta e invece ancora una volta la politica ha sparato un colpo a salve. Tutto rinviato per contrasti nei partiti, più interessati ai propri equilibri interni che non al bene del sistema.

La questione è delicata, perché investe sia pure tangenzialmente il tema delle riforme istituzionali, sbandierate anche in questa legislatura come un tornante che andava superato senza finire fuori strada, mentre è probabile che si farà poco e quel poco a rischio di mettere in crisi la tenuta del nostro quadro complessivo. Cerchiamo di spiegare i fatti.

Molto inizia dal delicato tema degli equilibri nella Corte Costituzionale, sempre più chiamata a risolvere quanto la politica non sa sciogliere. Il caso specifico è l’ammissione o meno del referendum sulla legge Calderoli in materia di autonomie regionali differenziate. La stessa Consulta ha svuotato le fughe in avanti alla cieca del leghismo, ma non ha negato che la possibilità di avere una autonomia differenziata ragionevole sia prevista dalla Costituzione vigente. Ora sottoporre a referendum una legge ordinaria come è quella Calderoli di fatto per abolire in caso di vittoria dei proponenti un articolo costituzionale è un bel busillis. A Roma si vocifera che nella Corte ci sia una spaccatura quasi trasversale sull’ammissibilità o meno del referendum, per cui una oculata inserzione di quattro nuovi giudici avrebbe un bel peso. I politici lo sanno e questo, in aggiunta ad appetiti che a volte sembra si riescano a contenere (segreteria PD) a volte no (vertici di FI), li preoccupa.

Per l’equilibrio del nostro sistema evitare il referendum sulla legge Calderoli sarebbe importante: non serve a nulla, se non ad accendere le faziosità quando per di più è molto probabile che non si raggiungerebbe il quorum per renderlo valido (essendo su una legge ordinaria deve votare almeno il 50% +1 degli aventi diritto, cosa che in questo genere di prove è accaduto raramente). La premier Meloni sicuramente preferirebbe che si evitasse questo genere di confronto che è solo pregiudizievole per lei in un momento di buon successo personale. Per evitare gli scontri sembra che abbia anche deciso di lasciare in fondo ad un cassetto la riforma sul cosiddetto premierato. Anche in questo caso farla passare significherebbe andare ad un referendum dall’esito più che incerto (votandosi su una legge costituzionale non c’è quorum), ma prima di tutto dovrebbe sciogliere la questione della riforma della legge elettorale, tema che vede un tutti contro tutti anche nella maggioranza, dove gli alleati non sono sicuri che blindare l’attuale premier non significhi finire triturati nelle urne.

Resta in piedi la riforma del sistema giudiziario, banalizzata sotto l’etichetta della separazione delle carriere fra giudici e PM. La materia è scottante, perché nessuno, a partire dalla magistratura associata, vuole ragionare in modo distaccato sul problema degli squilibri che ci sono e che sono sotto gli occhi di tutti nella gestione di molti procedimenti giudiziari. Il nodo non detto è come sottrarre il controllo delle carriere affidato al CSM al potere che hanno in esso i PM e i loro sostenitori (non sarà un caso che la maggior parte dei presidenti della ANM vengano dalla magistratura inquirente): perché è in questo collo di bottiglia che si concentra lo scontro fra politica e magistratura (ed è abbastanza difficile sostenere l’innocenza di una delle due componenti).

Sciogliere il problema creando semplicemente due corporazioni che si autogovernano non si sa quanto possa essere utile per il sistema. Per dire una banalità, nel rapporto con i giudici il cittadino può contare su tre gradi di giudizio e viene colpito solo ogni volta che in quella sede si emetta una sentenza, per cui, pur con tempi ormai biblici, c’è un certo controllo incrociato dell’effettività delle decisioni. Il PM invece interviene direttamente su sfere molto sensibili come la libertà personale, la reputazione dell’inquisito, la sua sfera economica e quegli interventi sono immediatamente esecutivi con un vaglio molto precario da parte della magistratura. Dei PM che rispondano solo alla loro corporazione, perché è ovviamente impensabile che vengano sottoposti all’autorità del governo, non sappiamo quanto sarebbero un progresso nell’organizzazione della giustizia.

È però più che dubbio che l’inevitabile referendum su questa riforma (sempre senza quorum) potrebbe avvenire senza squassare il paese in lotte di fazioni politiche, a cui per di più parteciperebbero gli stessi magistrati (altro aspetto preoccupante per preservare l’immagine di un “potere neutro”). Sarebbe nell’interesse di tutti andare avanti con una ragionevole stabilizzazione del nostro sistema senza precipitarsi in prove di forza fra opposte componenti. Non dovrebbe essere difficile da capire. Certo che lo svolgimento di vicende come l’elezione dei membri della Consulta non ci fa ben sperare.

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