Lo spunto
Luigi Vettorato non perdeva quasi mai una presentazione, una conferenza satina, o un evento del Trento Filmfestival. In prima fila spesso prendeva la parola per esprimere il suo parere. Luigi, soprannominato “Gigioti”, non si faceva intimidire da nessuno. “Ma scusa en moment…” attaccava così il discorso, per poi esprimere educatamente opinioni e, non raramente, giudizi tranchant (…) Così fu anche per il suo diario, meticolosamente scritto in stampatello perché nulla venisse equivocato; insistentemente chiese aiuto per la trascrizione e la pubblicazione. Era fermamente convinto che tutti i suoi ricordi, ricordi di una lunga vita trascorsa in buona parte sui monti, dovettero essere resi pubblici. (…) Aveva anche un ricco archivio fotografico e le sue foto (ora appese nella sede della sezione Sat di Trento) vennero esposte in alcune mostre nel 1956 e nel 2002 al Filmfestival e in Regione. Ma di questo non parlava molto, le montagne e i compagni di escursione erano il tema forte.
Riccardo Decarli – Biblioteca della Montagna Sat
Sapeva bene ciò che voleva “Gigioti”, come veniva chiamato e lo chiamavamo, temendo sempre i suoi interventi perché immancabili e spesso tali da esigere repliche precise come il passaggio difficile su un terreno di montagna, ché se scivoli poi precipiti e non sai quando riuscirai a fermarti. E premeva, “Gigioti”, per la pubblicazione del suo diario di escursioni e salite, non solo per legittime ambizioni personali (mostrare che sapeva anche scrivere e fotografare oltre che camminare e polemizzare) ma perché il diario che narrava la “sua” montagna rappresentava il modo migliore per salirla veramente, totalmente, che è quello di condividerla nelle emozioni che suscita e che l’alpinista fa sue nell’ascensione. Tutto, infatti, sulla montagna è condivisione . Lo è quando ci si lega in cordata e si affida la propria vita al compagno che fa sicurezza, ma lo è anche in un pic-nic sul prato, quando si fa a metà del panino che si aveva nel sacco. “In montagna – recita un vecchio detto che i giovani si sentivano spesso ripetere – chi no porta, no magna”, ovvero non ha poi il diritto di rivendicare il meritato cibo e un sorso di buon vino o un tè caldo . E le mamme alla sera, mentre aiutavano il figlio a preparare lo zaino riponendo nelle gamelle “fortaie” e “luganeghete” ammonivano a “ dividere sempre con i compagni ciò che hai nel sacco”.
È una delle grandi lezioni della montagna che anche il libro di Vettorato trasmette a quanti possono seguirlo nelle gite ora che il suo desiderio è stato realizzato dal presidente emerito della SAT, Piergiorgio Motter, titolare della Editrice Rendena, che ha dato alle stampe “La montagna di ieri e di oggi – dal diario di Luigi Vettorato”. 140 pagine, con tante foto di monti e gruppi satini a illustrare il racconto delle salite dal 1945 al 2010 (“Gigioti” è mancato ultranovantenne nel 2023), ma anche i valori che la montagna ha comunicato in quegli anni del Novecento e che, a ben guardare, comunica ancora oggi a chi sa frequentarla con amicizia. A chi, rifiutando il consumismo di chi la riduce a scenario mediatico e gastronomico, o terreno di gioco per la motorizzazione spinta la valorizza, invece, come ambiente di libertà, vita e lavoro per gli uomini. Che poi, ed è questo forse il vero senso del “Diario”, la montagna di oggi non è così cambiata rispetto a quella di ieri. Essa continua a trasmettere il suo respiro grande, sono semmai gli uomini ad essere cambiati, a volerla asservire invece che condividerne la bellezza e la libertà. E gustare le accoglienze, povere ma importanti, come l’arrivo in rifugio, paragonabile a quello che per un marinaio è l’arrivo in un porto, pienezza a tutto ciò che si è vissuto, sofferto e temuto. È fatto di questi momenti, di incontri liberatori e rivelatori sui monti il “Diario” di Vettorato, così minuzioso da poter quasi risultare una “guida” alle vette, e al tempo stesso così intenso nel condividere esperienze con il lettore.
Chi legge viene aggregato ai suoi compagni di gita, alla sveglia di buon ora per prendere la corriera; poi la salita con gli zaini pesanti di indumenti di ricambio, di poco cibo e molta “zavorra”, come “Gigioti” chiama il materiale alpinistico per i tratti più insidiosi. Ripaga di tutto l’arrivo in rifugio, preannunciato spesso (e Gigioti, non manca mai di sottolinearlo) dal buon odore dei minestroni per cui molte donne che gestivano i rifugi erano famose: alla Tosa, dopo l’interminabile salita per la val delle Seghe, al Segantini, sotto la Presanella, dopo essere risaliti dall’Amola ti aspettava il “minestrone”, parte integrante della cultura della montagna con l’equilibrio dei suoi ingredienti, le verdure per le vitamine, i fagioli proteici, il buon brodo per evitare la disidratazione, la pasta per i carboidrati… Non occorrevano dietologi, solo una buona dormita. Quello di Vettorato è un alpinismo per così dire “classico”, come quello dei primi salitori, che richiede allenamento e le tecniche di base (saper usare piccozza e ramponi non è così scontato) che Luigi ben padroneggiava: era stato iniziato alla Sosat di Nino Peterlongo e dal Gruppo Rocciatori Sat dopo la tragica morte del fratello Amelio in Paganella nel 1943. “Gigioti” aveva solo 14 anni e gli furono vicini gli amici del fratello (fra cui i fratelli Detassis e Marino Stenico), tanto che poi Luigi trovò nella montagna affrontata armoniosamente il suo riscatto esistenziale.
In una pagina descrive le cime intorno a Trento, riconoscendo dalla finestra “il Bondone, grosso già nel nome, con il Brenta dietro, la Paganella, squadrata e imponente. Accendono il loro spettacolo al tramonto e lo proseguono quando questo si spegne piano piano nel buio della sera, che si illumina poi con la luce delle stelle e con la bianca luna che sorride”. Ricorda anche i compagni di allora come Achille Gadler, autore di tante guide, ed Elvio Modena, pioniere nello scialpinismo, Ettore Gasperini “Medaia” e l’accademico Sandro Conci. Gigioti conclude il “Diario” con tre momenti personali: il ritorno sulla vetta del Pelmo a 75 anni, una lettera sulle croci a Giovanni Paolo II (cui il Papa rispose) e un ricordo di Bruno Detassis, amico e maestro capace di trasmettere una luce di autentica passione per la montagna.