Il passo lento dei pellegrini – con qualche necessaria sosta dietro la croce di legno – rendeva più evidente il contrasto con le frotte distratte di turisti dirette alle piazze dei mercatini natalizi. Ma in questa diversità di ritmo e di direzione, evidente domenica pomeriggio in via Belenzani, c’è forse un simbolo di quel cambio di passo che l’Anno Santo ci suggerisce e ci insegna: rallentare, fermarsi un po’ per poi ripartire. “Far riposare la terra”, secondo il significato del giubileo biblico che l’arcivescovo Lauro approfondisce nel suo messaggio “Nella terra della speranza”.
Secondo lo schema dei periodi sabbatici, ogni sette anni si doveva far riposare la terra; per il Levitico anche ogni 50 anni, per il Giubileo appunto. Se nella pratica dell’economia rurale dell’epoca non era poi così facile rispettare quest’indicazione, essa rimaneva e rimane molto efficace per il suo significato simbolico: la terra va rispettata nei suoi ritmi ciclici, è comunque un dono e qualcosa ci darà. Anche per gli agricoltori di casa nostra, commenta don Lauro, essa “conserva in sé il segreto di ogni stagione. Evoca il lento crescere dei germogli e il tempo dilatato della maturazione dei frutti. Chiede, ce lo ricorda papa Francesco, il dono della pazienza, atteggiamento di cui abbiamo perso il gusto autentico”.
Oltre a riscoprire la virtù della speranza, che c’insegna a guardare alla messe abbondante più che alla mancanza di operai (motto della sua Visita pastorale avviata in ottobre), il messaggio dell’Arcivescovo insiste in modo efficace sui tanti modi “pazienti” di far riposare la terra. Quello forse più impegnativo nella cultura frenetica e prestazionale di oggi è quello di “lasciar riposare le nostre agende” per “cedere tempo alle relazioni autentiche, all’incontro, al dialogo”.
Una riflessione che porta con sé il senso del limite, la richiesta di aiuto, la necessità di collaborazione fra preti e laici che l’Arcivescovo ha sviluppato anche in un editoriale per il quotidiano Avvenire (sabato 28 dicembre 2024) dedicato al rischio stress dei sacerdoti e alla semplificazione della pastorale, sotto il titolo significativo: “Il coraggio dell’essenziale”.
Ma oltre alla terra si dovrebbe far riposare anche il cellulare: don Lauro raccomanda nella sua lettera “il coraggio di disconnetterci dalla vita riflessa del mondo digitale per tornare ad assaporare la concretezza di una stretta di mano e di uno sguardo negli occhi”. Ma la terra biblica è anche il simbolo dei beni disponibili per tutti sul pianeta; di qui il valore prioritario – anche nella politica, anche nelle scelte amministrative – dell’accoglienza rispetto alle persone costrette a fuggire dalla terra che abitavano e coltivavano a causa di guerre, miseria e catastrofi climatiche.
L’enciclica Laudato Si’ che siamo invitati a rileggere insieme a Fratelli tutti c’impone infine un riposo della terra che non può essere “spremuta” senza limiti, come il Papa ci ha ricordato nel messaggio per la Giornata della Pace “meditato” il primo gennaio a Rovereto: “ Il sistema internazionale, se non è alimentato da logiche di solidarietà e di interdipendenza, genera ingiustizie, esacerbate dalla corruzione, che intrappolano i Paesi poveri. La logica dello sfruttamento del debitore descrive sinteticamente anche l’attuale ‘crisi del debito’, che affligge diversi Paesi, soprattutto del Sud del mondo”.
L’impegno a “far riposare la terra” si abbina quindi all’augurio che “il 2025 sia un anno in cui cresce la pace”. Un desiderio che domenica scorsa abbiamo colto nel passo lento di tanti giovani, nei due prossimi diaconi che hanno raccontato loro una scelta di vita. E anche nell’anziana mamma della val di Non che ha chiesto ai figli di essere accompagnata in processione verso la Cattedrale, perché si può essere “pellegrini di speranza” anche a due mesi dal novantatreesimo compleanno.