Quella Porta Santa che si apre in carcere

Come a volerci regalare un supplemento di fiducia e di coraggio, papa Francesco ha pensato di incorniciare quest’anno la celebrazione del Natale di Gesù con l’apertura di due Porte Sante: il 24 dicembre nella basilica di San Pietro, il 26 dicembre nel carcere romano di Rebibbia. È l’incarnazione del Figlio di Dio nella storia di Betlemme a gettare una luce sfolgorante su queste due porte, aiutandoci ad andare oltre il loro valore simbolico per farle diventare vita: perché anche noi grazie all’incontro personale con il Dio Bambino possiamo poi aprire con gli altri e per gli altri le porte della gioia e della speranza. Una soglia mai conquistata per sempre, un orizzonte da “pellegrini di speranza”, il motto di questo Giubileo fino alla fine di dicembre 2025.

Oggi arrivare a Roma in meno di quattro ore con il comodo “Freccia Rossa” ci rende difficile immaginare la vera fatica dei pellegrinaggi d’altri tempi, dove il traguardo delle basiliche giubilari possedeva anche il valore di una meta guadagnata con impegno fisico, non solo di conversione spirituale. Eppure quel pesante portone di bronzo – che al gesto del Papa sembrerà ancora una volta aprirsi a fatica nonostante la tecnologia moderna – ci offre comunque l’immagine storica di una cristianità affaticata che bussa alla porta della misericordia, bisognosa di perdono. Le tante occasioni di verifica personale e di riconciliazione pubblica (ci aspettiamo qualche sorpresa dello Spirito anche nelle strutture di lunga tradizione cattolica) potranno avere in questo Anno Santo una dimensione più comunitaria: potrebbe questo essere il primo Anno Santo davvero sinodale! Se infatti questi anni di Cammino ci hanno favorito le esercitazioni nell’ascolto attento e nelle scelte comuni, ora abbiamo anche l’occasione speciale per mettere in campo progetti pastorali, sociali, politici e anche economici progettati e realizzabili in forma sinodale.

Ma la sollecitazione ancora più facile ci viene dalla scelta del carcere di Rebibbia, destinata ad avere la stessa forza profetica dell’apertura della Porta Santa nella cattedrale di Bangui all’inizio del Giubileo Straordinario della Misericordia, il 29 novembre 2015. Papa Francesco per la prima volta aveva scelto una Porta non romana, in quella Repubblica Centrafricana travagliata dalla guerra, per rovesciare la prospettiva, mettendo sempre al centro l’amore di Dio per ogni uomo.

In questo senso Rebibbia diventerà dal 26 dicembre il nome di tutte le carceri del mondo, dei luoghi in cui un uomo soffre e spera. “Quando sarò fuori da quei cancelli…” sentiamo spesso dire dai fratelli detenuti di Spini di Gardolo, come un’invocazione. Non possiamo aprire le porte delle basiliche, senza fare la nostra parte per “liberare i prigionieri”, dare giorni di speranza a chi soffre, contribuire ad una convivenza più giusta. La speranza, virtù forte e nascosta, si alimenta alla Parola e alla preghiera – non solo nei giorni santi del Natale – ma si espande poi in gesti convinti, quotidiani, condivisi, ai quali quest’Anno Santo ci esorta.

Al termine di questo 2024, nel quale il 24 aprile abbiamo salutato con riconoscenza il nostro ex direttore don Vittorio Cristelli, rileggiamo quanto aveva scritto nel suo editoriale per l’Anno Santo della Redenzione nel 1983 invitando a incontrare Cristo nell’Eucaristia, nei sacramenti e negli uomini: “Si apre l’orizzonte per abbracciare la comunità in cui viviamo e, al di là, tutti gli uomini. Si apre l’orizzonte della carità. Anche la carità esige rinnovamento, esige conversione”. E così chiudeva il nostro CIVI a proposito degli eventi giubilari: “Se si realizzano tutte queste dimensioni, le celebrazioni esterne acquistano il carattere di degno e coerente coronamento. Se invece dovessero risultare avulse da questo contesto sarebbero gite, commerci. E non si vede perché dovrebbe organizzarli la Chiesa. Sanno farlo, e meglio, le agenzie di viaggi e gli operatori commerciali”.

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