Lasciamo da parte il teatrino della politica quale andato in scena attorno alla kermesse di FdI a Roma: la premier ha sentito il richiamo della foresta della sua esperienza di polemista/populista, le opposizioni si sono messe sulla stessa lunghezza d’onda. Intemerate che servono per alimentare i dibattiti dei talk show e che non spostano voti, se non verso l’astensione per quella parte di opinione pubblica che è stanca dei radicalismi da avanspettacolo.
La questione seria è il varo della legge di bilancio che forse si riuscirà a fare prima di Natale, sicuramente per fine anno evitando l’esercizio provvisorio. La domanda se si tratti di una buona politica è piuttosto retorica. Per prima cosa val la pena di notare che una volta di più il percorso previsto dalla Costituzione è stato rispettato solo formalmente. Se ne è discusso in un solo ramo del parlamento, questa volta alla Camera, e il senato potrà solo ratificare in extremis ciò che è già stato deciso, con buona pace dei cultori del bicameralismo. Peraltro anche alla Camera si è discusso poco e male, perché quando hai davanti una legge complicatissima, per di più continuamente sottoposta ad incursioni con maxi emendamenti in cui si infila di tutto, l’esame tecnico è più che modesto e ci si limita più che altro a sventolarsi in faccia bandierine (con sfoggio di sedute notturne…). Infine tutto passerà con la tagliola della questione di fiducia che sarà posta tanto alla Camera, quanto al Senato: di fatto certifica la preminenza assoluta del governo che così può ricattare la sua maggioranza a non fare scherzi, a meno che non voglia far finire la legislatura (cosa che, come si sa, i parlamentari vedono come il fumo negli occhi).
Come secondo elemento val la pena di sottolineare che siamo sempre nell’ambito di bilanci di galleggiamento. La premier vanta con qualche ragione la tutela della stabilità finanziaria, ed è già qualcosa rispetto a tempi in cui si è speso senza curarsi di creare buchi di bilancio. L’esempio classico è la demenziale norma sul bonus del 110%, che però, va detto, non aveva poi trovato grandi opposizioni quando fu varato: aiutava interessi vari che a tutt’oggi non si vogliono prendere di petto, visto che, invece di abolirlo e basta, lo si ridimensiona.
La stabilità finanziaria è mantenuta congelando la situazione. I tagli fatti sia per evitare deficit sia per rosicchiare qualche risorsa da spendere in nuovi interventi sono di tipo “lineare”: in parole povere si riduce percentualmente la dotazione a disposizione dei ministeri nella stessa misura per tutti, pazienza se così qualcuno dovrà rinunciare a qualche extra e qualcun altro non potrà intervenire con efficacia in alcuni importanti settori di sua competenza. Per agire diversamente sarebbe stato necessario predisporre interventi selettivi, revisioni complessive dei meccanismi della spesa (la famosa “spending review”), cose che nessun governo ha mai avuto il coraggio di fare, neppure questo che pure si vanta di avere una grande stabilità datagli dal consenso elettorale tutt’ora considerevole.
Poi c’è il capitolo giornalisticamente detto dei bonus e delle mancette. Non manca mai, va più a favore delle clientele della maggioranza, ma non manca qualcosa anche per quelle dell’opposizione, e ce ne sono sempre di gradite ad entrambe (perché sostenute da lobby che hanno contatti con tutte e due). Servono di sostegno, modesto, a qualche settore: un bonus per il rinnovamento degli elettrodomestici (abbastanza cavilloso), qualcosa a sostegno del settore automobilistico, un aiuto alle edicole, e altra roba simile. Come ciò possa aiutare l’economia a crescere è tutto da dimostrare.
Con le prospettive non certo rosee per l’anno che sta per cominciare la politica di galleggiamento economico porta effetti ambivalenti. Da un lato consentirà di difendere un posizionamento dell’Italia non disprezzabile sul mercato dei capitali, decisivo per i prestiti che devono sostenere il nostro debito (il famoso spread è a livelli molto più bassi di quanto è stato nell’ultimo decennio). Dal lato opposto non permetterà politiche coraggiose per affrontare alcuni nodi preoccupanti: la stagnazione dei salari, lo sviluppo del sistema di welfare in settori chiave come sanità e istruzione, la gestione delle trasformazioni tecnologiche in atto nell’industria.