Con lo sguardo dei pastori sulle strade di oggi

Il presepe dell’Oratorio presso la chiesa del Santissimo a Trento foto G. Zotta

Lo spunto

Una porta che si apre sulle macerie di chi ogni giorno rischia la vita a causa delle guerre e sulla Natività. Il presepe realizzato dai volontari dell’Associazione Oratorio del Santissimo (AOS) accoglie ospiti e fedeli come un monito: “Per entrare nelle chiese occorre attraversare le strade che la storia ci pone davanti”. “Quelle di oggi – proseguono i volontari che hanno realizzato il presepe – sono coperte da cumuli di macerie di chi ogni giorno vede crollare le proprie case e le proprie vite sotto le bombe nemiche. Migliaia di vite innocenti sepolte dall’odio e dalla bramosia di potere di leader politici incapaci di distinguere il bene e il male (…). Ma in tutti i momenti in cui “risuonano le sirene e gli allarmi, vacillano le nostre fragili fondamenta, si sbriciolano le nostre apparenze, crollano le false certezze”, “Gesù viene al mondo, tra le macerie della vita, per ricordarci che lì dove tutto sembra finito germoglia l’amore e il conforto di Dio”.

(dal sito www.vitatrentina.it)

Forse mai negli ultimi tempi come quest’anno fedeli e dubbiosi, vicini e lontani siamo chiamati ad accostarci alla capanna di Betlemme, al bimbo che vi è nato, a Maria e Giuseppe con lui, al bue e all’asinello che lo riscaldano con il loro fiato. Ogni presepe – anche quello attualizzato davanti alla chiesa del Santissimo – ci pone davanti ad una meravigliosa unità fra creato e creatura. Fu così anche per i pastori a Betlemme, due millenni fa, quando accorsero cantando con gli angeli inni di gloria nell’alto dei cieli, implorando la pace sulla terra per gli uomini di buona volontà, gli uomini che Dio ama, tanto da rendere partecipe della loro natura il Figlio, portatore di salvezza e redenzione.

Così Natale ci chiama tutti a diventare e a sentirci pastori, pellegrini precari sulle strade della vita, umili nel lavoro quotidiano che, come è per il pastore, dipende dal gregge al quale accudiamo. Dio continua ad amarci, ma la buona volontà negli uomini sembra essersi dispersa, più che mai quest’anno, in uno smarrimento generale che va dalle guerre (in Ucraina, Palestina, Israele, Siria e non solo) al saccheggio planetario, allo sfruttamento di umanità fino ad un consumismo paganeggiante che sembra voler trasformare anche il presepe, con la sua spiritualità, in un mercatino e in richiami di marketing le tradizioni più sentite (l’albero della “selva oscura” che viene illuminato dalle luci delle candeline, quasi piccole stelle scese dal cielo o l’asinello di Santa Lucia, stanco per il suo lungo andare che si ferma nelle case dove riceve un po’ di sale e farina e lascia i solari mandarini e le noccioline ai bambini buoni (cioè, di buona volontà, ovvero che cercano di essere buoni anch’essi). Ma non sta in questi segni, che pur riescono sempre ad affratellare famiglie e generazioni, il Natale che i pastori, antichi e nuovi, sono chiamati ad adorare, perché null’altro, se non le loro debolezze hanno da portare alla capanna.

Sta proprio nella nascita del Bambino, del farsi bambini anch’essi con lo stupore e l’amore che sempre porta con sé la speranza che la pace scenda sulla terra, che la notte fredda venga rischiarata e riscaldata dalle luci che si accendono, dalla sicurezza che Gesù Bambino è venuto proprio per noi e che lo scambio dei doni è un segno dell’amore che egli porta sulla terra, ma anche del bisogno che abbiamo l’uno dell’altro, gli uni degli altri, fra di noi.

Ed è questo l’augurio più sentito che per Natale rivolgiamo anche ai lettori: di sentirci insieme davanti al Bambino della capanna, di sentire quanto abbiamo bisogno di stare insieme, nelle nostre case e nel mondo. Egli, il Bambino, ci aiuterà nelle nostre giornate e sulle strade di pastori erranti. Buon Natale!

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