Non è un buon momento per la politica italiana. Lasciamo da parte le gazzarre a chi urla più forte e le spara più grosse: cose poco piacevoli, ma in fondo incidono in modo limitato. Ciò che è preoccupante sono i movimenti profondi che rivelano un sistema politico sempre più traballante.
Iniziamo dalla successione a Raffaele Fitto entrato ormai nella Commissione Europea. Il suo incarico è molto delicato, sovrintende ad una molteplicità di settori tanto che si era pensato di “spacchettarlo” distribuendolo fra più soggetti. Ma è entrata in gioco la politica politicante. La soluzione immaginata di dividere i compiti fra vari “sottosegretari” si è scontrata con l’ovvia constatazione, sembra discretamente sollevata da Mattarella, che un paese come l’Italia non può non avere un ministro per gli affari europei e che il PNRR è questione troppo delicata per non avere il potere di un ministro.
Risultato: soluzione da politica d’assalto, la premier nomina quasi con un colpo di mano un fedelissimo dei suoi (Tommaso Foti), per non aprire questioni all’interno della sua coalizione. Peccato che la soluzione sia così debole, a meno che Foti non stupisca per abilità e qualità sin qui sconosciute, da incidere negativamente sulla posizione di Fitto a Bruxelles. Sembra infatti che questi sia il nume tutelare che rende poco rilevante la personalità del successore, ma così lo si indebolisce in ambito UE perché lo si declassa a proconsole del governo italiano.
Passiamo al caso Stellantis. La crisi dell’automotive è grave, le dimissioni (costrette) dell’amministratore delegato Tavares la mettono in piazza (con l’appendice, poco gradevole, di mostrare ad un paese afflitto da salari più che modesti come un amministratore che non si è rivelato un grande manager sia stato letteralmente coperto d’oro). Il governo e l’opposizione brancolano nel buio, salvo un po’ di populismo facile di Salvini, ma giusto in questo caso, sull’arricchimento di Tavares, l’unico fra i politici che parli con competenza è Calenda. Eppure il rischio di far gravare la crisi dell’industria automobilistica sulla tenuta del sistema nel suo complesso non andrebbe sottovalutato. Ci dovrebbe essere materia per discutere in materia di bilancio di qualcosa di più serio della riduzione del canone Rai o del vago salario minimo garantito. Non lo si farà: la convocazione di John Elkann in sedi governative e parlamentari è teatrino, non sposterà nulla.
Indichiamo adesso una questione che può sembrare molto tecnica, ma che non lo è. Abbiamo in discussione una ipotesi di revisione dei poteri della Corte dei Conti, che più che giudicare ex post sugli atti dovrebbe dare pareri prima che venissero adottati (allora più che una corte sarebbe un ufficio di consulenza…).
C’è dietro il solito scontro fra una politica e amministrazione che si sente vessata di controlli e le esondazioni non rare di giudici di quella magistratura a cui piace fare la parodia di Catone il censore (mentre in altri casi sono assai meno intransigenti). È assai significativo che il presidente Mattarella sia intervenuto sul tema segnalando con il consueto grande equilibrio come ci siano ragioni su entrambi i versanti: è necessario evitare la paura della firma da parte degli amministratori (politici e burocrati) che non sanno mai bene sin dove possano spingersi perché il caos legislativo, unito alle creatività interpretative dei giudici (contabili e ordinari), rende tutto incerto, ma al tempo stesso non si può mettere in crisi un sistema di vaglio tecnico-giuridico sull’azione delle pubbliche amministrazioni, sistema che è essenziale in un quadro di controllo sulle discrezionalità dei poteri pubblici.
Non sappiamo come finirà lo scontro in questo caso, ma si tratta di un altro esempio dello scricchiolare del sistema dei poteri, un fenomeno che inserendosi nel contesto di una politica sempre meno capace di esprimere capacità di direzione davanti al paese impensierisce non poco. Per questo vediamo con poco compiacimento anche gli scossoni che interessano il campo delle opposizioni con Conte e l’ormai suo M5S squassato dall’assalto nichilista di Grillo. È roba che spinge Conte a fare il barricadiero, mentre Schlein si muove a tentoni rincorrendo Landini e dando spazio ad AVS: un quadro che certo non favorisce un riassorbimento delle scosse che continuano ad interessare l’Italia. Scosse neppur troppo pesanti se considerate singolarmente, la cui somma diventa però preoccupante.