1° dicembre 2024 – Domenica I Avvento C
Letture: Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts 3,12⸻4,2; Lc 21,25-28.34-36
«Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28)
Prima di iniziare questo cammino, vorrei soffermarmi sul significato del titolo scelto per il nostro appuntamento settimanale: In dialogo con la Parola. Insieme alle comunità con cui vivo qui in Ghana sperimento quotidianamente che aprire la bibbia è iniziare un cammino a due, un rapporto interpersonale fatto di silenzio e parola, d’ascolto e d’attesa, di vicinanza e d’alterità; è vivere la sfida dell’incontro con la Parola fatta Carne (cf. Gv 1,14), con Colui che si è fatto persona per dialogare con noi. Facendosi dialogo Dio si auto-comunica, plasmando allo stesso tempo una comunità capace di collaborare con Lui per trasformare il mondo. In dialogo con la Parola vuole essere un piccolo strumento perché questo incontro accada e la Parola possa trasformare la nostra vita e attraverso di noi le nostre comunità e le nostre società.
In dialogo con la Parola, dunque, celebriamo oggi un doppio inizio: l’inizio di un nuovo anno liturgico e l’inizio dell’avvento. Tuttavia, prima di contemplare la venuta del Cristo nella storia, la liturgia ci aiuta a riflettere sul nostro tempo posto tra la prima e la definitiva venuta del Signore.
Il vangelo ci offre parte del discorso escatologico posto da Luca al termine della vita pubblica di Gesù, come preludio del suo cammino di passione, morte e risurrezione. Pur utilizzando un linguaggio apocalittico (vv. 25-27), Luca non mira a dischiudere i segreti del futuro ma intende esortare i lettori a vivere il presente. L’attesa che caratterizza il credente non costituisce, infatti, una fuga dal reale ma l’assunzione del quotidiano come momento dell’incontro con Dio.
La collocazione strategica del capitolo sulla soglia della passione vuole guidare il discepolo a vivere i momenti di crisi, di difficoltà con lo stesso atteggiamento del «figlio dell’uomo» (v. 27). Attorno a noi e in noi si manifestano segni di violenza e di morte; percepiamo l’angoscia dei popoli e la paura per il futuro dell’umanità e della creazione. Il Vangelo di oggi non ci abbandona in queste tenebre ma chiede di “vigilare”, di spalancare gli occhi per scorgere tra le ceneri della morte l’inizio di un cammino di liberazione. Il testo rivela, tuttavia, il pericolo che può soffocare questa speranza: il sonno della coscienza, annebbiata da preoccupazioni eccessive o inebriata da obiettivi falsi come visibilità, potere e possesso.
Il vaccino contro questa vita apparente è «vegliare nella preghiera». Siamo chiamati a cogliere il senso profondo degli eventi senza lasciarci trascinare dal turbinio di parole vuote. La preghiera insegna, infatti, a “stare in piedi” davanti al Figlio dell’uomo (v. 36): è l’atteggiamento di chi è in attesa per accogliere senza paura la novità di un mondo che germoglia sotto la neve. “Stare in piedi” è accogliere la liberazione, riconoscendo nel volto del Cristo Colui che verrà perché è già venuto ed è vivo tra noi (Mt 18,19-20). È una speranza alimentata dalla Parola che pur nel tempo dell’assenza del Signore, lo rende presente nella testimonianza dei suoi.
Vigilare è dunque un percorso di conversione che richiede di penetrare nelle zone non evangelizzate di noi stessi, nel profondo dove si agitano passioni ed ansie, e collaborare con il Padre al processo della creazione continuamente in atto. È allenare gli occhi del cuore a cogliere i segni della venuta del Signore nella nostra storia personale e nella grande storia dell’umanità, cogliendo ed affermando i germi di vita, i semi di risurrezione. È divenire segni del Regno non mimetizzandoci nell’alibi della nostra povertà, ma ponendo gesti creatori di relazioni nuove, capaci di opporre alla logica profanante della violenza, l’utopia della mitezza.
Siamo disposti ad aprirci al dialogo?