Celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) significa “non solo dare voce alle vittime, ma anche sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere l’azione collettiva per prevenire e combattere la violenza, nella speranza di costruire una società fondata sul rispetto e sull’uguaglianza”. Lo scrive la Commissione provinciale pari opportunità tra donna e uomo (Cpo), incardinata presso il Consiglio provinciale e presieduta dalla giornalista Marilena Guerra, in una riflessione che si sofferma in particolare su una forma di violenza, quella psicologica, spesso sottostimata, sottovalutata e difficile da riconoscere.
E’ uno dei molti volti della violenza contro le donne, che l’avvocata Cathy La Torre conosce bene. Instancabile promotrice e divulgatrice nelle aziende, negli enti locali, nelle scuole, ma anche attraverso i social (il suo profilo AvvoCathy conta quasi un milione di follower), dell’eguaglianza sostanziale e formale come principio cui ispirare la propria vita, autrice di libri di successo, sarà a Rovereto sabato 23 novembre (Sala conferenze del Mart, ore 18.30), invitata dal Comune a presentare il suo ultimo libro, “Non è normale. Se è violenza non è amore. È reato” (Feltrinelli, 2024). Introdotta da Micol Cossali, assessora alla promozione artistica e culturale e al turismo, e da Silvia Valduga, assessora alle politiche educative e al contrasto alle diseguaglianze, Cathy La Torre dialogherà con Stefania Santoni e Emanuela Skulina, dell’associazione Alba Chiara, nata nel ricordo di Alba Chiara Baroni, la giovane di Tenno uccisa dal fidanzato nel luglio 2017.
Avvocata La Torre, parliamo delle diverse facce della violenza contro le donne.
Sono tante e sempre di più. Vi è la violenza fisica, verbale, psicologica, economica, assistita, e la violenza online, che colpisce anche tantissimi ragazzi. Parliamo di violenza di genere perché è predominante quella agita contro le donne, ma oggi vittime di alcune forme di violenza possono essere anche ragazzi, uomini.
Lo spiega nel suo libro.
Nel libro provo a raccontare tutte le varie forme di violenza, a dare gli strumenti a chi lo legge, donna o uomo che sia, genitore o figlio, nonno o zio, per riconoscere la violenza, se l’abbiamo vissuta o se l’abbiamo agita, e come riconoscerla se qualcuno che amiamo la sta subendo.
Può fare un esempio?
Immaginatevi una madre o un padre che temono che la propria figlia sia in un rapporto violento, magari hanno un sentore. Sicuramente questo libro aiuta a districarsi, quando hai finito di leggerlo ne sai un po’ di più e questo vale per la tua vita, ma anche per la vita delle persone che ami.
Agire sul piano culturale e dell’educazione per prevenire la violenza di genere, in definitiva significa anche far crescere la consapevolezza della società tutta dell’importanza di relazioni improntate alla nonviolenza e al rispetto?
Assolutamente sì. Come facciamo a riconoscere che stiamo in una relazione tossica, violenta, di codipendenza, se non conosciamo quali sono queste forme di violenza?
Quale domanda le viene rivolta più spesso?
Mi chiedono: è normale che il mio (o la mia) partner mi vieti di vedere gli amici, di uscire, voglia mettere il gps nella mia macchina?
E cosa risponde?
Dico loro che non solo non è normale, ma è pure un reato.
Evidentemente, però, non avvertito come tale.
Soltanto se lavoriamo sul piano culturale, della consapevolezza, dell’educazione a che cos’è una relazione tossica e a come uscirne, come evitarla… solo così possiamo fare un passo avanti. Perché le leggi intervengono solo quando il danno è fatto.
Come mai ci sono così tante denunce di stalking in Italia?
Sono quasi 200mila all’anno le denunce di violenze, molestie, stalking, di reati cosiddetti “spia”. Le persone non conoscono più il limite tra quello che è concesso e quello che non è più concesso: perché la persona non ti appartiene. E dico persona, perché riguarda anche gli uomini. Ad esempio, lo stalking tra vicini di casa è un fenomeno sempre più invasivo. Non parlo di liti, ma di veri e propri atti persecutori, che generano ansia in chi li subisce e lo costringono a cambiare le sue abitudini di vita.
Come si spiega?
Sono saltate le consapevolezze su quali sono i confini di ciò che è lecito e di ciò che non lo è, della libertà delle altre persone. La cultura dell’abuso si è diffusa al di là delle relazioni sentimentali.
Sono utili i percorsi che nella scuola educano alla relazione di genere?
Sono necessari! Se a partire dalla scuola media decostruisci i ruoli stereotipati di genere, questo aiuterà ad avere relazioni con l’altro genere più sane, meno sottoposte all’idea che l’uomo deve farsi carico di tutta una serie di cose (ad esempio provvedere al sostentamento economico) e la donna di altre (la cura della casa).
Stereotipi che possono diventare una gabbia sia per gli uomini sia per le donne.
Si creano relazioni con meccanismi di potere sbilanciati che fanno male a entrambi, uomini e donne. Se insegniamo queste cose, avremo ragazzi e ragazze più liberi nelle relazioni e, magari, più donne nelle professioni Stem, tecnologiche e scientifiche, e più uomini in quelle prevalentemente appannaggio delle donne, come l’insegnamento nelle scuole primarie, o le professioni a sfondo sociale. Per non parlare della genitorialità condivisa: le giovani generazioni ci dicono che i papà vorrebbero passare più tempo in casa con i figli, ma si vergognano di dirlo sul posto di lavoro, perché vengono presi in giro. Insegnare alla relazione di genere, ripeto, fa bene, e dovrebbe prescindere dall’orientamento politico dei governi. Ma se abbiamo un ministro che dice che il patriarcato non esiste e che la violenza non è legata a questo, di che cosa stiamo parlando?
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