L’eccesso di teatrini non giova al paese

La prima pagina del quotidiano Avvenire di martedì 22 ottobre

La situazione politica italiana non è tale da lasciarci tranquilli. La bagarre andata in scena sulla vicenda del fenomeno migranti irregolari, prima con le sceneggiate della Lega al tribunale di Palermo, poi con quelle sui trasferimenti in Albania e seguenti interventi dimostrativo-scenografici della magistratura, non giova in un momento molto delicato per il nostro Paese, che dovrebbe fare i conti non con manifestazioni da stadio, ma con una situazione economica che ha profili di criticità e con una situazione internazionale molto preoccupante. Il buttare sempre tutto in caciara, come si usa dire con una non felice espressione romanesca, non aiuta né l’attuale maggioranza politica, né le forze di opposizione, strutturate o relativamente informal-corporative che siano. La preoccupazione del Presidente della Repubblica per questo clima si è manifestata pur nelle forme austere che competono a quella carica, ma c’è molto bassa disponibilità ad ascoltare la voce della ragione costituzionale (quella vera, non quella strumentale che interpreta la Carta e il nostro equilibrio come fa comodo alle diverse tifoserie in campo). Se si volessero fare delle analogie storiche a buon mercato, si potrebbe notare che spesso quando incombono cambiamenti epocali ci si perde a mettere in scena finte scelte da dramma supremo, perdendo di vista i grandi problemi in campo che poi travolgeranno chi ha dato spazio ai teatrini: è la ben nota storia della fine che fanno quelli che urlano a vanvera “al lupo! Al lupo!”.

Il governo pensa di consolidare il consenso che indubbiamente registra incentivando una immagine “decisionista” in cui vede la ragione del suo successo. Non è esattamente così: c’è più apprezzamento per una gestione che nelle questioni strutturali non ha ceduto se non marginalmente alle intemperanze populiste, che non per la troppo frequente rincorsa a mettere in campo misure scenografiche che non incidono su problemi molto complessi (anche semplicemente perché non è con questo genere di interventi che si conclude qualcosa quando si tratta di problemi di grande complessità). Le opposizioni credono di mettere in crisi la maggioranza agitando continuamente lo spettro dell’autoritarismo alle porte, se non addirittura del ritorno del fascismo, cosa piuttosto difficile da far recepire quando contro la situazione attuale è in atto una sregolata polemica e un fiorire di contestazioni che, giustamente, si possono sviluppare senza conseguenze (il vittimismo fa parte dell’armamentario di entrambe le fazioni in campo, ciascuna ritenendosi ingiustamente conculcata nelle sue possibilità di espansione).

La questione che a questo punto si pone è quanto si potrà andare avanti in un clima del genere. Esso favorisce il distacco di una quota sempre più rilevante dell’opinione pubblica dalla partecipazione politica attiva: non è solo questione di astensionismo elettorale, che già non è un problema da poco, lo è altrettanto un coinvolgimento sempre più stanco e per assuefazione passiva nelle identificazioni con le parti in campo, sicché ormai i partiti sono club di burocrazie professionali. Non si può sottovalutare che in questo quadro c’è ampio spazio perché il complesso molto sviluppato di corporazioni, lobby, consorterie approfitti dei contrasti per evitare che il tramonto auspicato della stagione delle grandi zuffe metta in discussione le molte nicchie di potere e di privilegio che ciascuna si è costruita. Esasperare le tensioni sociali e mettere in questione gli equilibri del nostro sistema, per quanto compromessi possano essere, è molto pericoloso. Come già si vide nel tramonto della cosiddetta prima repubblica, dallo scontro anche allora fra un universo politico, sociale ed economico molto rissoso non emerse una stabilizzazione felice, ma un ventennio di ulteriore deterioramento delle reti di coesione che esistevano per quanto ridotte in condizioni precarie: continuiamo a pagarne le conseguenze.

Ci sarebbe necessità di ricostruire una connessione che tenga insieme il sistema istituzionale, in cui nessuno si arroghi il diritto di essere il solo rappresentante della giusta via, in cui si disarmino i bullismi politici e intellettuali che vogliono dettare legge, in cui torni ad esserci interesse per la ricerca di quel bene comune che è la sostanza di ogni vera politica. Non si tratta di fare prediche inutili, ma di battersi per una evoluzione costruttiva del Paese e delle comunità in cui viviamo.

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