In questo mondo a pezzi serve all’Italia una politica estera

La prima pagina del quotidiano Domani di martedì 15 ottobre

La situazione drammatica in cui sta precipitando il mondo impone anche al nostro paese di dotarsi di una politica estera che non sia semplicemente un esercizio di retoriche internazionaliste di vario orientamento secondo il colore dei governi di turno.

Prima di spiegare perché quel che sta succedendo ci coinvolge come Italia, si deve fare una doverosa premessa sulla gestione della politica estera da parte di tutti i governi. La nostra opinione pubblica non è né particolarmente sensibile, né particolarmente educata per temi che sono indubbiamente poliedrici e difficili da dominare. Per questo si sono sempre seguite due vie parallele: per il grande pubblico si faceva un po’ di demagogia, più o meno spinta a seconda della qualità dei leader politici; per gli ambienti “tecnici”, della diplomazia, delle classi dirigenti, e di quant’altro, si lavorava con criteri del tutto differenti, si esercitava realismo, ma fuori della scena pubblica. Questo doppio standard, tuttora in vigore, diventa però difficile da gestire in un momento di grandi crisi internazionali.

Proprio in queste settimane vediamo come ci si trova di fronte ad un esplicito rifiuto di quell’equilibrio, per quanto zoppicante e in continua tensione, che si era instaurato dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Era quella situazione, prima bipolare (USA-URSS) poi tripolare (USA-URSS-Cina), che aveva tutto sommato tenuto a bada il rischio della grande guerra nucleare generalizzata, nella convinzione che la “mutual assured destruction” generata dall’impiego delle armi atomiche avrebbe portato alla distruzione del mondo (non per caso quella strategia era stata condensata nell’acronimo MAD, che in inglese significa “pazzo”).

Recentemente sembra che proprio la pazzia si stia facendo strada a partire dalla negazione del valore di quell’equilibrio che si era cercato di rappresentare con la fondazione della “Organizzazione delle Nazioni Unite” (ONU). Vladimir Putin ha più volte ripetuto che quella è una ideologia dell’Occidente che così cerca di imporre la sua egemonia e che la Russia non l’accetta: infatti si vede come in Ucraina abbia fatto strame di qualsiasi diritto internazionale. Una inclinazione simile la mostra il primo ministro israeliano Netanyahu, anche lui del tutto indifferente a ciò che pensa la comunità internazionale che più o meno si rispecchia nell’ONU, tanto da voler estromettere quest’ultimo dal suo campo di battaglia. Infine c’è la Cina che ha ripreso non solo a minacciare l’indipendenza di Taiwan, anch’essa riconosciuta a livello internazionale, ma che sta avviando un’operazione su larga scala che secondo gli osservatori punta a “strangolare” l’isola, senza porsi alcun problema su come questa operazione verrà accolta.

Si tratta di un contesto che richiede una reazione da parte di quello che non è semplicistico definire l’Occidente, perché si tratta della parte del mondo che ha sviluppato la “filosofia” dell’equilibrio e del “concerto (pacifico) delle nazioni”. Ha sicuramente fatto anche cose poco buone, ma non per questo si deve dimenticare il grande apporto storico che ha dato alla costruzione di un mondo in cui dal 1945 ad oggi siamo riusciti ad evitare guerre su larga scala.

Ora però, se non si vuole lasciare campo libero ai nemici di quella sistemazione, nemici che rilanciano sogni neo-imperiali basati sull’impiego senza regole della forza militare, diventa necessario riprendere in mano una politica estera che da un lato si ponga seriamente il problema di confrontarsi con questa congiuntura e che dall’altro educhi le opinioni pubbliche a considerare un quadro che non è più quello di una stabilizzazione garantita per un lunghissimo periodo. Chi si pone davanti a questo quadro può ben capire le difficoltà in cui ci troviamo in Italia.

Una politica super radicalizzata, allevata da anni di populismi che hanno trattato la politica estera come una piccola questione di buoni (o cattivi) sentimenti, priva di leader carismatici che sappiano parlare efficacemente alla gente di problemi così spinosi, non è certo il meglio su cui si può contare.

Una volta di più sarebbe necessario disarmare gli animi dalla polemica grossolana e unire tutto il sistema politico-culturale del nostro paese in uno sforzo per far maturare un’opinione pubblica consapevole del tornante storico che andremo ad affrontare. Non lo faremo da soli (si spera), ma con l’Europa se maturerà una coscienza comune e con tutti quei paesi che si possono conquistare alla causa dell’equilibrio e della convivenza. Non potremo farlo se non si riescono ad emarginare populismi disinvolti e paure indotte artificialmente.

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