Torna, dopo il successo della prima apprezzata dedicata a “Il senso dei luoghi”, la rassegna internazionale di cinema antropologico Il gesto visibile, ideata e diretta dal regista e docente universitario Marco Rossitti, questa volta incentrata sul tema dell’acqua, nei suoi aspetti materiali, sociali, religiosi e simbolici, indagati nei contesti geografici e culturali più diversi. “Il sapore dell’acqua” è appunto il sottotitolo scelto per la manifestazione, che, negli spazi del METS Museo etnografico trentino San Michele, propone una selezione di film di rilievo internazionale premiati ai più importanti festival di settore, per approfondire da una prospettiva cinematografica e socio-antropologica la relazione dell’essere umano con il bene al contempo più prezioso e più problematico.
Moltissimi i temi affrontati: gli effetti del riscaldamento globale sugli ambienti acquatici, il rapporto dell’uomo con il mare (la pesca tradizionale e quella d’altura) e con i corsi d’acqua, l’acqua come paesaggio ostile e impetuoso o appetibile territorio di conquista, tra rotte millenarie, rassicuranti approdi e naufragi disastrosi.
Cinque serate di proiezione, i sabati 19 e 26 ottobre e 9, 16 e 23 novembre, con inizio alle 20.30, a ingresso gratuito e seguite da un momento conviviale.
Inaugurerà la rassegna, il 19 ottobre, As the tide comes in (Danimarca 2023, 88’) di Juan Palacios, co-regia di Sofie Husum Johannesen, ipnotico ritratto di un microcosmo perennemente sull’orlo di una catastrofe. Il film ci porta sulla piccola isola danese di Mandø, uno scampolo di terra di soli otto chilometri quadrati al largo del Mare di Wadden. I suoi ventisette abitanti sono abituati al maltempo e alle inondazioni e nonostante i cambiamenti climatici e le condizioni meteo sempre più estreme rimangono saldamente aggrappati alla loro piccola parte di mondo. Le situazioni, spesso buffe, che scandiscono la vita quotidiana di questa piccola comunità resistente delineano un destino individuale che, in realtà, riguarda anche tutti noi.
Cosa ci fa una bottiglia di birra tedesca arenata su una delle isole più remote della Norvegia, nell’arcipelago delle Lofoten, nell’Oceano Artico? Come è arrivata fin qui? Proviene davvero dalla Germania? I rifiuti possono davvero viaggiare così lontano? In The North Drift (Germania 2022, 92’), in programma il 26 ottobre, il regista Steffen Krones vuole andare a fondo delle questioni, seguendo il percorso dei rifiuti di plastica lungo il fiume Elba, attraverso il Mare del Nord fino alla Norvegia. Durante il viaggio, accompagnato da Kris Jensen, guida turistica di origine Inuit che lavora nel Mare del Polo Nord, incontra scienziati e compagni che lo sostengono nel suo progetto. L’avventura gli apre gli occhi sulle condizioni delle nostre acque e sulla necessità di un cambiamento sostanziale. Krones ci fa capire che dobbiamo fermare il dilagare di quel materiale apparentemente miracoloso, realmente mostruoso, di cui si riusciva a fare a meno prima degli anni Cinquanta e che oggi pare imprescindibile. Il film sarà preceduto da Haulout (Regno Unito-Russia, 2023, 25’) dei fratelli registi Evgenia Arbugaeva e Maxim Arbugaev, uno sconcertante resoconto delle conseguenze del riscaldamento globale nell’Artico. Su una costa remota della Siberia, in una fragile capanna battuta dal vento, il biologo Maxim Chaliev attende l’annuale raduno dei trichechi. Il riscaldamento dei mari e l’innalzamento delle temperature determinano, però, un cambiamento drammatico e inaspettato: senza più blocchi di ghiaccio dove riposare nella lunga traversata i trichechi arrivano stremati e molti non sopravvivono.
La laguna di Venezia e la sua periferia insulare saranno le protagoniste della serata del 9 novembre. Dapprima con la riscoperta e valorizzazione – grazie alla collaborazione con RAI Teche – del documentario Robinson in laguna (Italia 1985, 24′) del regista veneziano Mario Brenta (Vermisat, Barnabo delle montagne). Tutte le mattine, all’alba, da quasi cinquant’anni, Gildo Scarpi attraversa a remi la laguna di Venezia per andare a coltivare la terra in un’isola abbandonata. Se ne sta lì, con i suoi cani; ogni tanto il fratello Luigi lo va a trovare. Spesso, la nebbia li costringe a passare la notte sull’isola. Venezia è lì, a due passi, eppure lontana nella sua confusione di turisti, di vaporetti, di piccioni. Annotò all’epoca Ermanno Olmi: «Nel film a un certo punto c’è l’inquadratura di un uomo, solo sulla sua barca, nel grande specchio della laguna di Venezia. A prima vista, in quell’inquadratura non riuscivo notare nulla di straordinario, anzi: avvertivo forse una lentezza eccessiva, un senso quasi di fastidio… Ma più quell’immagine rimaneva incollata allo schermo, più ne rimanevo affascinato. Nella solitudine di quella laguna piatta e grigia come il cielo, ogni passata di remo, il gesto stesso del remare, andavano acquistando una compiutezza drammatica che sembravano portarli a fondersi perfettamente con il senso della vita». Puro gesto visibile, dunque. A seguire Atlantide (Italia-Francia-Stati Uniti 2021, 104’), capolavoro del videoartista e regista cosmopolita Yuri Ancarani, che il 10 novembre sarà protagonista di una masterclass promossa da Il gesto visibile in collaborazione con Trentino Film Commission. Il protagonista del film, Daniele, è un giovane di Sant’Erasmo, isola ai margini della laguna di Venezia. Vive di espedienti, emarginato anche dai suoi coetanei, impegnati a esplorare un’esistenza consacrata alla sola ricerca del piacere che raggiunge l’acme nel culto del “barchino”: un’ossessione che li spinge ad elaborare motori sempre più potenti capaci di trasformare le piccole imbarcazioni lagunari in pericolosi bolidi da competizione. Anche Daniele sogna un barchino da record, che lo porti in cima alla classifica, ma tutto ciò che fa per portare avanti il suo sogno e ottenere il rispetto degli altri si rivela tragicamente controproducente. Il degrado che erode le relazioni, l’ambiente e le abitudini di una generazione senza radici vengono osservati dalla prospettiva senza tempo del paesaggio lagunare. Il punto di non ritorno è una balorda, residuale storia di iniziazione maschile, violenta e predestinata al fallimento, che esplode trascinando la città fantasma nel trip di un naufragio psichedelico.
Il 16 novembre sarà la volta di Leviathan (Francia-Regno Unito-Stati Uniti 2012, 87’) di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor, coppia di antropologi del Sensory Ethnography Lab dell’Università di Harvard. Lungo le coste di New Bedford, Massachusetts, la pesca è un’antica tradizione. La sfida tra l’uomo, la tecnologia e la natura si attua lungo traiettorie millenarie. In un paesaggio ostile e impetuoso, un peschereccio punta verso il mare aperto (lo stesso solcato dalla baleniera Pequod di Melville all’inseguimento di Moby Dick), mentre le candide sagome dei gabbiani volteggiano nel cielo plumbeo. Servendosi delle nuove tecnologie (una dozzina di action-camera) gli autori si avventurano in un’impresa ai limiti del filmabile per descrivere, partendo dalle teorie del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), il meccanismo stritolante e disumanizzante dell’economia di sfruttamento.
Chiuderà la rassegna, il 23 novembre, River (Australia 2021, 75′) di Jennifer Peedom, co-regia di Joseph Nizeti, un’odissea cinematografica e musicale che esplora la relazione tra gli esseri umani e i fiumi, assai più interconnessa e intricata di quanto la società contemporanea sia disposta ad ammettere. Il film ci rammenta che la nostra civiltà è fiorita sulle sponde dei grandi fiumi e la vita dei nostri antenati è dipesa dalle acque, che come antiche divinità capricciose garantivano vita e prosperità ma al tempo stesso potevano causare morte e distruzione, indifferenti ai nostri bisogni. Col tempo, però, il nostro rapporto coi fiumi è cambiato, le nostre conoscenze sono progredite e abbiamo imparato a imbrigliare la potenza dell’acqua per servire i nostri scopi. Abbiamo creato città nel deserto solo per dimostrare a noi stessi di poterlo fare. Nella nostra corsa verso la modernità non ci siamo fermati un minuto a pensare al prezzo che i fiumi avrebbero dovuto pagare. River ci mette in guardia sulle possibili conseguenze che la moderna “schiavitù” dei fiumi, la loro fragilità, potrà comportare per le generazioni future. Con un ammonimento: nel nostro eterno rapporto con i corsi d’acqua, è l’uomo ad aver bisogno di essi e non viceversa. Un’immersione attraverso lo spazio e il tempo che abbraccia sei continenti. Una narrazione affidata alla potenza delle immagini, attraverso prospettive inusuali, riprese aeree e satellitari. Scritto da Robert Macfarlane (Luoghi selvaggi, Le antiche vie, Montagne della mente) con le musiche di Jonny Greenwood, dei Radiohead, di Richard Tognetti e dell’Australian Chamber Orchestra (ACO) e la voce narrante di Willem Dafoe.
A fianco dei lungometraggi, lungo l’intera rassegna il pubblico de Il gesto visibile avrà modo di apprezzare, secondo la recuperata formula del “doppio spettacolo”, una retrospettiva di capolavori del cortometraggio d’autore (il trentino Giulio Briani, il sardo Fiorenzo Serra, gli olandesi Joris Ivens e Mannus Franken). L’iniziativa collaterale diventerà occasione non solo per ricordare i cento anni dell’Istituto Luce (1924-2024), ma anche per un primo sentito omaggio a Giuseppe Šebesta (1919-2005), etnografo e saggista, pittore, favolista e narratore, ideatore e fondatore nel 1968 del Museo degli usi e costumi della gente trentina (oggi METS). Sarà possibile, in particolare, riscoprire alcuni documentari firmati da Šebesta negli anni Cinquanta in veste di regista e/o di direttore della fotografia.
L’ultima data della rassegna, sabato 23 novembre, sarà l’occasione per scoprire o riapprezzare Regen/Pioggia (Olanda 1929, 12’) di Joris Ivens e Mannus Franken, una delle pietre miliari del cinema documentario e d’avanguardia. Lo scatenarsi di un improvviso temporale nella città di Amsterdam: battelli solcano le acque dei canali, giochi di luce zigzagano sulle mercanzie trasportate dai carretti, il vento scuote gli alberi e fa svolazzare la biancheria stesa, voli di uccelli o di aerei zebrano il cielo, imposte e vetri sbattono; si aprono ombrelli, le gocce d’acqua schizzano sulle pozzanghere, gli pneumatici lasciano impronte profonde sul suolo reso fangoso dalla pioggia, l’acqua ruscella dai tubi di scarico. Un racconto visivo, dal sole alla pioggia e di nuovo al sole, un’avventura dello sguardo che trasmette al pensiero il suo ritmo e il suo umore, ne segna la gradazione e il tempo, un cine-poema di percezioni tattili, eppure solo apparentemente naturalistiche. Con le musiche originali di Hanns Eisler.
A corollario della rassegna, due Giornate di studi, venerdì 8 e sabato 9 novembre, sul rapporto dei musei etnografici con il cinema, che vedrà riuniti a San Michele all’Adige direttori e conservatori dei principali musei etnografici ed ecomusei italiani, operatori culturali, autori e registi, studiosi e studenti universitari di cinema e scienze umane.
Infine, il 10 novembre, un appuntamento imperdibile: la masterclass del regista di fama internazionale Yuri Ancarani, autore di opere pluripremiate come Il capo e The challenge, presentate alla prima edizione de Il gesto visibile, e Atlantide, in programma il 9 novembre prossimo. Un incontro ad alta intensità formativa, promosso con la collaborazione di Trentino Film Commission, con uno dei videoartisti e cineasti più visionari della contemporaneità, forse più noto nei musei e nelle gallerie d’arte che nelle sale cinematografiche.
“Sebbene viviamo un momento di intensa contaminazione tra arte e cinema – ha annotato -, percepisco un’ossessione comune nel catalogare, organizzare e sistematizzare i linguaggi. I confini sono scomparsi e non mi piace dover mettere ordine nella produzione. Classificare un lavoro significa sminuirlo e, sempre più spesso, vivo questa situazione: nell’ambiente dell’arte sono considerato un filmmaker e nell’ambiente del cinema un artista. Non ho un territorio d’azione delimitato e non appartengo a un genere preciso. Questo può sembrare un disagio. Tuttavia, se ci pensi, soltanto ciò che sfugge alla classificazione è qualcosa di nuovo”.
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