È suonato il primo di una lunga serie di campanelli e, in questa prima lenta settimana di scuola, inizia o riprende una routine di cui abbiamo forse tutti un certo bisogno.
Giovedì il Servizio Irc della nostra Diocesi, in collaborazione con Iprase e con il Collegio Arcivescovile di Trento, propone a circa trecento insegnanti una giornata formativa dal titolo “Generare speranza nella scuola tra pathos e logos”. Un tema che – non solo per noi docenti – è un programma di vita prima che un argomento. La speranza, infatti, vive la dinamica della generazione, «non delude» chi sa credere nella forza misteriosa di ciò che è piccolo e invisibile, ma cresce, matura, porta frutto con i suoi tempi e, come accade in ogni parto, non esclude il dolore e la possibilità della morte. I soggetti vivi della scuola, docenti e studenti, non sono contenitori pieni o vuoti di informazioni, ma persone a tutto tondo che imparano anche tramite gli affetti e si affezionano ai saporosi contenuti di cui ci si occupa a lezione. I relatori dell’intensa mattinata sono due esperti della Cooperativa sociale il Minotauro che, a Milano e a Padova, si occupa di moltissimi studenti che fanno fatica a rimanere nelle aule scolastiche, e due esperte del Servizio Tutela Minori della Diocesi di Trento. I loro interventi, di natura psicologica e pedagogica, sono allineati nell’aiutare gli insegnanti a comprendere il cambio di paradigma che l’attuale società dell’informazione sta imponendo alla scuola e le necessarie attenzioni pedagogiche e didattiche da mettere in atto per non perdere nessuno. Perché non ci accada troppe volte di non riuscire a leggere il nostro tempo, terribile, sfidante, e al contempo così ricco di segni di speranza. Perché non ci accada di non riuscire a intercettare le emozioni dei nostri studenti e delle loro famiglie, anche le più difficili da gestire e di innescare o non riconoscere relazioni antieducative, giudicanti o addirittura violente. Una platea pensosa e attenta. Abbiamo tutti in mente i terribili fatti di cronaca di questi giorni e ci domandiamo come essere all’altezza di un lavoro tanto complesso in questo decennio accelerato e talvolta schizofrenico. Il Vescovo a inizio giornata ci incontra tutti e viviamo assieme una celebrazione eucaristica che ci riporta al senso di tante fatiche e alla bellezza di un «ringraziamento» che si concretizza in riconoscimento del dono di Dio per ciascuno e in restituzione del poco che siamo, ma che può fare la differenza. Se ogni mattina di ogni santo giorno potesse iniziare con tanta ricchezza. Al termine della celebrazione don Lauro ci invita a tornare ancora alla messa quotidiana delle otto nella chiesa dell’Arcivescovile, una scuola che con tanta convinzione intende diventare un’agorà per la nostra città. Nel pomeriggio un’esplosione di creatività: dieci laboratori guidati da insegnanti che raccontano e fanno vivere esperienze didattiche riuscite.
Nel tornare a casa e nel rientrare in classe in questi giorni mi abbandono a qualche emozione e a qualche pensiero che spero mi accompagni anche quando vorrò scappare via o cederò alla tentazione di lamentarmi. Difficilmente saprò accogliere le emozioni difficili dei miei studenti se non vengo a patti con il male che c’è in me e fuori di me. Ferite inferte o subite possono, come ci ricorda don Lauro, essere dei varchi. La speranza cristiana della Resurrezione non ha voluto e potuto saltare l’esperienza della croce. Senza questa misteriosa consapevolezza rischiamo di sbiadire in un’illusione collettiva dagli esiti nichilisti e mortiferi.
La mattina, quando prendo la mia bicicletta per scendere in città, mi gusto il suono lontano delle campane di alcune chiese vicine. Sono suoni che attraversano l’aria e che mi ricordano il cielo. Poco dopo, il suono meno piacevole del primo campanello funge da richiamo a guardare davvero negli occhi colleghi e alunni e a desiderare assieme a loro, ancora, per questo giorno, il bene di tutti. Tra pathos e logos significa anche imparare a vivere nel luogo del «tra», nello spazio che, nell’icona del corso di aggiornamento, la Visitazione di Arcabas, si genera tra il Figlio di Dio nel grembo di Maria e Giovanni in quello di Elisabetta. È quello lo spazio che ci può avvicinare o allontanare dal mistero che siamo l’uno per l’altro. Che il suono delle campane riesca a rendere più amabile quello di ogni campanella, in questa scuola che vorrebbe tanto offrire speranza ai nostri piccoli «domani».
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