L’eredità di De Gasperi, nessuno può rivendicarla

Alcuni dei numerosi richiami da presenti nella fondamentale Lectio Degasperiana tenutada mons. Ivan Maffeis a Pieve Tesino il 18 agosto

LO SPUNTO

Alcide De Gasperi (1881-1954), come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua esistenza. Ha accettato di mettersi alla guida del suo popolo senza garanzie e senza esitazioni. Prima è stata la volta del popolo trentino, orfano e disperso durante la prima guerra mondiale, poi quella del popolo italiano che imparò a conoscere. Quando nel 1945 assunse il compito di guidare l’Italia, fuori dal deserto in cui la democrazia si era smarrita, De Gasperi aveva 64 anni. Dalle ceneri del Partito popolare ha creato un grande partito di ispirazione cristiana, muovendo quasi dal nulla (…) ha condiviso i valori di fondo della Resistenza e ha partecipato con convinzione alla transizione democratica dal Regno alla Repubblica, ha salvato la continuità dello Stato, ha contribuito a dare al Paese una Costituzione fra le più solide, ha ricostruito le basi della collocazione dell’Italia nella comunità dei Paesi occidentali, ha allargato l’orizzonte politico europeo. ”Con la sobrietà del suo modo di praticare la fede ha anticipato gli insegnamenti dei Concilio Vaticano II”.
Ivan Maffeis, Arcivescovo di Perugia Città della Pieve

Questi spunti sulla figura di Alcide De Gasperi sono tratti dalla “Lectio magistralis” (la definizione un po’ pomposa, avvolta di togalità accademica, mal si adatta alla misura di sobrietà e semplicità che i lettori di Vita Trentina hanno sempre apprezzato in don Ivan Maffeis) che l’arcivescovo di Perugia Città della Pieve ha tenuto nell’anniversario dei 70 anni della morte dello statista. Maffeis ha tracciato di De Gasperi un ritratto umano, civile e politico documentatissimo, ma al tempo stesso fresco e originale, rifuggendo da ogni schematismo sia iconografico che attualizzante.

Nessuna forzatura quindi, nessun cedimento a sentimenti laudativi (e neppure “santificativi”, nel mondo sudtirolese la sua figura viene presentata ancora in modo controverso) bensì la ricerca attenta e profonda degli elementi sia di realismo pragmatico, che di visione politica profetica che lo caratterizzano (il “profeta” non annuncia utopie o “buonismi”, è immerso nella quotidianità con le sue durezze e difficoltà, non è un superuomo ma sa guardare lontano e costruire situazioni politiche, contesti umani e sociali, per andare insieme lontano.
È questo il ruolo prioritario e nobile della Politica che De Gasperi rivendicava senza reticenze e che Maffeis riconosce. Sapeva di essere onesto e “aveva l’ambizione”, come lui stesso scrisse, di esserlo, riconoscendo con ciò la necessità di impegnarsi nella cosa pubblica, ed anche dello schierarsi.

Per De Gasperi – ha detto a Pieve Tesino mons. Ivan – “spettava (e spetta ancora) alla Politica rimediare alle crisi in cui si trova l’umanità, perché “è l’unica dimensione dove la verità e le possibilità umane si confrontano alla pari”.
Sapeva anche, De Gasperi, che la Politica “è un sistema complesso che non tollera a lungo semplificazioni brutali”. Per questo dall’intervento di Maffeis si ricava che nella visione di De Gasperi, la Politica deve basarsi su alleanze, anche su compromessi se necessario, non su divisioni o esasperazioni.

Esprime le sue massime potenzialità storiche nella democrazia che non è però una ideologia assoluta (le ideologie, a ben guardare sono corruzioni e distorsioni delle fedi come suggeriva Paolo Prodi) ma si basa sul riconoscimento della dignità di ogni persona, sulla possibilità garantita ad ognuno di usare il proprio “discernimento” nelle scelte, “assieme alla possibilità di “ricomprendersi in un orizzonte di comunità”. Ma anche la democrazia, per rivelarsi uno scenario positivo di relazioni ha bisogno di valori che la sorreggano.

Questi valori De Gasperi li assunse dal cristianesimo: “i diritti dell’uomo sono fondati sui diritti di Dio” e ancora “la spiritualità non è intimismo e nemmeno solo un modo privato di vivere la propria fede, ma un modo per far rinascere lo spirito negli altri in tutte le forme in cui è possibile. È testimonianza del valore spirituale della vita e delle relazioni umane. È azione, parole, profezia appunto”.

In questo percorso di testimonianze De Gasperi inserisce anche i riformatori settecenteschi della storia occidentale (libertà, uguaglianza e fraternità) da lui profondamente studiati e il liberalismo cattolico italiano (Manzoni, Rosmini) che nel Trentino aveva avuto importanti ricadute. Democrazia significa, in questo contesto, agire nelle differenze e superarle perché possano nascere nuove amicizie, non ridurle a una “conta” di voti, a maggioranze risicate. Non basta un voto in più per governare. “ché se la democrazia si riducesse a certificare un esito elettorale – dice mons. Maffeis riferendosi a De Gasperi – non avrebbe risorse per contrastare chi quel voto volesse manipolarlo e contestarlo.

In questa prospettiva nelle scelte, ed anche nei confronti elettorali De Gasperi non si tirava mai indietro, sapeva essere anche “duro”, si sentiva sempre più “politico” che amministratore, ma rifuggiva da leaderismi e narcisismi che considerava segni di debolezza. Giudicava le promesse mirabolanti il mezzo degli assolutismi.

In questo senso il partito da lui fondato non voleva essere un “nuovo Principe”, per esercitare il potere, ma un mezzo per tenere unite le comunità e per motivarle, non per vincere, ma per costruire un popolo. La stessa ispirazione cristiana garantiva il confronto alla pari con le altre democrazie europee (Adenauer in Germania, Schuman in Francia) superando anche la frattura fra mondo latino e mondo germanico che il Rinascimento, con la Riforma e la rottura dell’unità dei cristiani aveva portato, lasciando spazio agli assolutismi. Maffeis non ne parla, ma anche l’autonomia per il Sudtirolo – Alto Adige e il Trentino, a ben guardare si inserisce in questa visione.

La riflessione dell’arcivescovo Ivan ha confermato, peraltro, che nessun uomo di parte può rivendicare, oggi, l’eredità di De Gasperi, o paragonarsi a lui. Possono farlo gli italiani, i cittadini, sentendosi popolo, non massa incerta nella comunità dell’Europa, come voleva lui, ispirandosi ai valori di onestà e sobrietà, rifiuto di promesse “mirabolanti”, spiritualità e pace che lo sorreggevano.

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