Discutere di bandierine, alcune fruste, altre magari più interessanti, può consentire di tenere la scena estiva, ma poi arriva l’autunno e ci si deve misurare con le scadenze imposte dai provvedimenti economici. Si discute già di come affrontare una legge di bilancio che dovrà fare i conti sia con le mutate regole europee, le quali impongono un rientro programmato dal debito, ovvero una sua significativa riduzione sia pure su un arco di sette anni, sia con una situazione economica interna che è stretta fra un problema di impoverimento dei ceti medi e bassi e una caparbia resistenza di chi sta meglio a non perdere privilegi ora non più sostenibili.
Come abbiamo già avuto occasione di ricordare, con una scadenza elettorale ormai alle porte i partiti fanno più che fatica a trovare il coraggio per richiamare l’opinione pubblica alla serietà del problema che abbiamo davanti. Le disponibilità del Tesoro sono più che modeste e la necessità di non deprimere i redditi bassi (che tali sono davvero) è più che evidente.
Continuare a finanziare anche un provvedimento non certo rivoluzionario come il taglio del cuneo fiscale a chi percepisce redditi fino a 35mila euro l’anno è necessario se non si vuole dare un colpo grave ai consumi di base e in molti casi precipitare una quota della popolazione verso la soglia della povertà.
Il governo è consapevole del problema, ma il fatto è che per tenere duro su questi sgravi affronta il rischio di dover cedere alle pretese delle tante corporazioni e lobby ciascuna delle quali vuole vedere mantenuto un livello del proprio reddito su parametri di altri tempi. Basta guardare a quel che avviene nel commercio per riscontrare in moltissimi casi (senza fare di ogni erba un fascio) una corsa ai “rincari” che non sono motivati da aumenti dei costi di produzione dei beni, ma più semplicemente dalla volontà di scaricare la contrazione degli acquisti delle fasce di reddito più basse sulle maggiori entrate che possono arrivare dalla vendita di un minor numero di prodotti a prezzi aumentati: tanto si continua a pensare che una parte del paese goda di redditi più alti di quelli che dichiara e dunque non si trattenga dallo spendere.
La spirale è perversa e la sua pericolosità non ci pare avvertita in maniera adeguata. Anche la opportunità di trarre tutti i vantaggi dai quattrini dei finanziamenti europei (PNRR, ma anche gli altri fondi che continuano ad arrivare) permane compromessa da un sistema burocratico cavilloso, malfunzionante e inadeguato a confrontarsi con questa emergenza. La valutazione è condivisa largamente quando si parla fuori delle sedi in cui ogni partito deve recitare la sua particina nella commedia politica.
Proprio in questo scenario deve preoccupare la scarsa tenuta delle alleanze/coalizioni sia a livello governativo che di opposizione. Giorgia Meloni ha mostrato un cedimento, francamente inaspettato per portata, nella sua capacità di imporre una leadership, nonostante sia alla guida di un partito di gran lunga più grande di quelli dei suoi alleati. Vedremo nei prossimi giorni se saprà imporsi nei “vertici” e nel Consiglio dei Ministri, ma non ci sono molti segnali in questa direzione.
Non solo il problema di tenere insieme la alleanza di destra-centro a livello delle elezioni regionali, ma, e temiamo ancor di più, il problema di gestire la assegnazione di tutta una serie di delicate posizioni di vertice nel settore pubblico e para-pubblico mette la premier in difficoltà, perché tutti sanno che far cadere il governo non si può e quindi tutti tirano la corda allo spasimo per acquisire poltrone.
Del resto non è che l’opposizione sia veramente in grado di minacciare la tenuta del governo. Innanzitutto perché per farlo davvero dovrebbe poter aprire alla prospettiva come alternativa a breve di una sorta di grande coalizione che scardini la destra conservatrice dalla destra radical-populista, cosa che è guardata con il solito orrore ideologico. In secondo luogo perché il cosiddetto campo largo continua ad essere un coacervo di competitori: basta guardare a quel che sta accadendo col partito di Conte, ma anche alle consuete fibrillazioni dell’estrema sinistra. Pure in questo caso a mancare è una leadership autorevole, capace di imporsi su una ciurma arrembante, ma senza un vero progetto abbastanza condiviso.
La segretaria Schlein davvero non ha finora mostrato il carisma necessario, e, ammettiamolo, fuori dall’ordinario, che sarebbe necessario in una congiuntura come quella attuale, ma i suoi ipotetici concorrenti sono messi anche peggio di lei. Dove la coalizione di centrosinistra non si compatta da sola come avviene per svariati motivi in Emilia Romagna e in Umbria, non si riesce a trovare la cosiddetta “quadra”: basta vedere cosa sta accadendo in Liguria.
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